L’esposizione “Castelluccio. Ambiente, commercio e simboli nella Sicilia Sud Orientale” offre uno spaccato delle condizioni di vita di più di 3.500 anni fa e sarà visitabile fino al 22 febbraio
SIRACUSA – “Castelluccio. Ambiente, commercio e simboli nella Sicilia Sud Orientale” è il titolo della mostra che è stata inaugurata al Museo Archeologico “Paolo Orsi” di Siracusa. Vi sono esposti reperti provenienti dagli scavi di Castelluccio, sito archeologico risalente all’età del Bronzo, che si trova nel territorio di Noto ed ha dato il nome all’omonima cultura di “Castelluccio”. Il sito venne rinvenuto alla fine dell’800 dall’archeologo Paolo Orsi che lo datò tra il XIX ed il XV secolo a.C. Luigi Bernabò Brea diede il nome di “fase di Castellucio” al periodo del Bronzo Antico siciliano, che datiamo tra la fine del III e l’inizio del II millennio a.C. Dal sito provengono numerosissimi materiali ceramici, oggi esposti al “Paolo Orsi”, oltre a reperti in bronzo.
La mostra, curata da Anita Crispino, è suddivisa in ben sette sezioni, ed è arricchita da reperti della cultura di capo Graziano concessi in prestito dal parco archeologico delle Isole Eolie. Uno spazio ha la necropoli di contrada Travana a Buccheri e si possono ammirare gli ossi a globuli ritrovati a Malta e in Puglia, grazie alla collaborazione con il parco archeologico di Leontinoi, il National Museum of Archaeology di Malta e il Museo Archeologico nazionale di Altamura.
L’esposizione è un’occasione per presentare, per la prima volta, al pubblico reperti provenienti sia dallo scavo dell’abitato effettuato da Giuseppe Voza tra il 1989 e il 1993, che da altri siti contemporanei della Sicilia e delle isole Eolie. È da Castelluccio che provengono i famosi portelli tombali con motivi decorativi a bassorilievo interpretati come la stilizzazione dell’atto sessuale e, ancora, gli ossi a globuli, enigmatici oggetti dall’incerta funzione preziosamente decorati ad incisione, ritrovati anche in Grecia, a Troia, a Malta e in Puglia (questi ultimi due giungono a Siracusa per la prima volta in prestito temporaneo).
La mostra offre uno spaccato delle condizioni di vita di più di 3500 anni fa grazie alle rivelazioni fornite dalle moderne analisi condotte negli ultimi anni sui reperti faunistici, gli studi sui carboni e sui residui organici sopravvissuti all’interno dei vasi che hanno permesso di ricostruire l’ambiente, la fauna e la metodologia di costruzione delle capanne. Il pezzo più interessante è un grande pithos, ricomposto da centinaia di frammenti dopo un accurato lavoro di restauro. Il vaso, proveniente proprio da Castelluccio, in origine, conteneva olio d’oliva, e rappresenta la testimonianza più antica in Sicilia e in Italia della coltivazione dell’ulivo.
“Le scoperte archeologiche ci consegnano ogni giorno nuove rivelazioni sulla storia della nostra Isola – ha dichiarato l’assessore regionale dei Beni culturali dell’Identità siciliana, Alberto Samonà – soprattutto relativamente alle fasi più antiche. La mostra offre un’opportunità preziosa di indagare su un periodo della nostra storia più antica che viene illustrata anche attraverso i numerosi e preziosi reperti esposti. Un impegno, quello del potenziamento della ricerca archeologica, sul quale siamo costantemente proiettati nella consapevolezza che le pagine della nostra storia sono il patrimonio più significativo che possediamo, sia in termini collegamenti con gli studiosi di tutto il mondo che di attrattività verso quanti ogni anno scelgono la Sicilia come meta delle loro vacanze”. La mostra resterà aperta fino al prossimo 22 febbraio.