“Sistema di faglie che interessa la Sicilia indipendente da quello del terremoto in Turchia” - QdS

“Sistema di faglie che interessa la Sicilia indipendente da quello del terremoto in Turchia”

“Sistema di faglie che interessa la Sicilia indipendente da quello del terremoto in Turchia”

Vittorio Sangiorgi  |
giovedì 09 Febbraio 2023

Intervista ad Antonello Fiore, presidente nazionale della Società italiana di geologia ambientale: “Quello che è successo ci deve ricordare la vulnerabilità del nostro edificato”

Il grave terremoto che ha colpito Turchia e Siria, con il suo drammatico bilancio di vittime, riporta d’attualità il tema degli eventi sismici e della prevenzione, a cui abbiamo dedicato un’approfondita inchiesta il mese scorso. La calamità verificatesi nella notte tra domenica e lunedì, inoltre, ha fatto paura anche in Italia visto l’immediato allarme maremoto scattato in diverse regioni costiere meridionali e poi, fortunatamente, rientrato. Proprio per capire quali potrebbero essere le conseguenze del sisma turco-siriano nel nostro Paese e per approfondire il rischio “onda anomala” anche al di là di questa occasione, il Quotidiano di Sicilia ha intervistato Antonello Fiore, presidente nazionale della Società italiana di geologia ambientale (Sigea).

Presidente, il terremoto che ha colpito Turchia e Siria potrebbe determinare delle scosse anche in Italia?
“Non c’è il rischio di una ripercussione diretta perché il sistema di faglie presente nell’Italia meridionale è assolutamente indipendente da quello che ha generato quel sisma. Adesso dobbiamo essere, ovviamente, molto dispiaciuti per le vittime e le sofferenze che ha causato questo devastante terremoto, ma ciò che è successo e la visione delle case ‘accartocciate’ su se stesse ci devono rimandare alla vulnerabilità del nostro edificato storico e di quello costruito prima dell’entrata in vigore delle norme antisimiche, pensando alla potenzialità distruttiva dei nostri terremoti. Insomma, dobbiamo chiederci se stiamo facendo le cose giuste per adeguare l’edificato – specialmente quello più datato – ai terremoti attesi”.

E quanto al rischio maremoti?
“L’allerta diramata per coste italiane meridionali dalla Protezione civile riguardava proprio questo aspetto. Esiste, infatti, un protocollo internazionale che è stato seguito. In Italia è istituito il Sistema di Allertamento nazionale per i Maremoti, composto dal Dipartimento della Protezione civile che svolge anche le funzioni di coordinamento, dal Centro Allerta Tsunami dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, operativo dal 2017, e dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che si occupa del monitoraggio dei maremoti del Mediterraneo. Tale protocollo, in funzione dell’energia liberata dal terremoto e dalla distanza dello stesso, prevede che scattino diverse allerte, arancioni o rosse. In questo caso i valori ricadevano nell’allerta più grave, ed è dunque stata avviata una precisa procedura. La stessa è rientrata dopo poche ore, perché l’onda che si è generata era di pochi decimetri e non avrebbe prodotto effetti. Questo non significa, però, che le nostre coste non sono soggette a questo tipo di fenomeni. Il catalogo dei maremoti del Mediterraneo, al contrario, evidenzia come le aree costiere pugliesi, calabresi, siciliane e delle isole Eolie in passato siano state interessate da maremoti con effetti lungo la costa abbastanza distruttivi. Può sussistere ancora un rischio ‘onda anomala’ anche in virtù delle successive e forti repliche di scosse sismiche? Può esserci solo se l’evento continua e soprattutto se si attivano delle faglie a mare; ricordiamo che l’epicentro del sisma turco-siriano è stato sulla terraferma. Tutt’altro scenario, invece, è quello di un epicentro sui fondali marini, dove l’energia trasmessa alle acque è maggiore rispetto all’energia trasmessa direttamente al mare da un terremoto con epicentro nell’entroterra”.

Quali sono le strategie per arrivare preparati a simili eventi e per limitarne al massimo le conseguenze?
“Per quanto riguarda la pericolosità legata ai maremoti abbiamo avuto la contezza che il sistema di allertamento funziona, ed ha funzionato anche per un’onda bassa perché rientrava in quelle caratteristiche relative a distanza ed energia liberata da un sisma. Si è creato un po’ di allarmismo, perché i cittadini, e forse anche qualche amministratore locale, non sono abituati a capire cosa significa questo tipo di allerta e come si devono comportare in questi casi. Esistono precise e consolidate norme comportamentali, perché un’onda di tsunami che arriva sulla costa, anche se alta solo qualche decimetro, può risalire con forte energia e velocità per diversi metri nell’entroterra di una costa bassa ed arriva poi come un muro d’acqua. In simili casi bisogna, anzitutto, capire quali possono essere i fenomeni anticipatori, come il mare che si ritira o un rumore che si sente arrivare dalle acque. I maremoti, d’altra parte, possono provocare sulle nostre coste effetti molto meno gravi di quelli causati dallo tsunami del 2004 nel Sud-est asiatico, con un significativo impatto che non deve essere trascurato. Bisogna, dunque, fare attenzione soprattutto quando si frequenta la costa bassa. I punti fondamentali sono tre. Avere la consapevolezza di quali sono i rischi nelle aree che frequentiamo, sapere come comportarsi in queste situazioni ed avere un adeguato sistema di allerta e prevenzione da trasferire alla popolazione. Dobbiamo chiederci quanti Comuni hanno aggiornato il loro Piano comunale di protezione civile comprendendo anche il rischio maremoto? Quanto i Piani sono condivisi con la popolazione? Voglio ricordare che nel sito della Protezione Civile nazionale è riportato: si precisa che la Piattaforma non raggiunge direttamente la popolazione che deve quindi essere allertata attraverso le modalità definite nel piano di protezione civile comunale, in raccordo con le pianificazioni degli altri livelli territoriali”.

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