Sono convinta che si possa lavorare dal Sud per imprese del Nord o per aziende che si trovano all’estero
Sono convinta che si possa lavorare dal Sud per imprese del Nord o per aziende che si trovano all’estero. Ma perché questo possa avvenire è necessario che ci siano le giuste condizioni. Infatti, per fare in modo che i nostri cervelli possano rientrare dopo aver lasciato da giovani la loro terra d’origine, bisogna dare loro dei servizi.
Lavorare dal Mezzogiorno è, innanzitutto, uno strumento di coesione utile a ridurre il divario economico, sociale e territoriale nel Paese, in grado di migliorare la qualità della vita delle persone.
Ritengo fondamentale incentivare questa nuova cultura del lavoro, che potrebbe rappresentare la nuova frontiera dello smart working, strumento fondamentale per le aziende nel momento in cui hanno dovuto fronteggiare la pandemia.
Il South working è in progressiva crescita: secondo i dati presentati a novembre 2020 da Svimez – Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, basati su un’indagine affidata a Datamining che ha raccolto le informazioni da centocinquanta grandi imprese, dall’inizio dell’emergenza sanitaria un anno fa, sono quarantacinquemila i lavoratori di aziende del Centro-Nord in smart working dal Sud.
Lo stesso report indica che ha lavorato dalle regioni meridionali il personale del 3% delle grandi imprese che hanno adottato il lavoro agile nei primi tre trimestri del 2020.
Numeri significativi, che nei prossimi mesi potrebbero aumentare sensibilmente. Per fare questo è, però, necessario realizzare adeguate infrastrutture digitali, di comunicazione, di trasporto e prestazioni sanitarie efficienti: sono in tanti ad avere il desiderio di rientrare nel territorio di appartenenza, ma che di fatto molti, prima di fare questo passo, vogliono assicurarsi che i servizi non manchino e siano adeguati.
Proprio su questa tematica, nei giorni scorsi, ho incontrato una rappresentanza di 300 sindaci del Sud, che mi hanno manifestato il timore di non essere considerati adeguatamente nella gestione dei fondi del Recovery Fund, che sono risorse fondamentali per ripristinare oppure realizzare da zero servizi fondamentali per valorizzare il nostro territorio.
Nella mia attività politica ho sempre messo al centro il Sud e adesso più che mai lo diventa, grazie alle opportunità che ci vengono offerte dal Recovery.
In tal senso mi sono battuta affinché il Ministero per il Sud e la coesione territoriale fosse inserito all’interno dei comitati interministeriali della transizione ecologica e digitale che si occuperanno della parte attuativa delle decisioni politiche.
Faccio riferimento al Comitato interministeriale per la transizione digitale (CITD) e al Comitato interministeriale per la transizione ecologica (CITE). Questi organismi, presieduti da Mario Draghi e composti da diversi Ministri, gestiranno il 72% delle risorse previste dal Recovery Fund. Una assenza che reputavo anomala e grave.
Grazie all’approvazione di un mio ordine del giorno, il Governo adesso si impegna a inserire in questi organismi anche il Ministero guidato da Mara Carfagna.
Così facendo il Sud diventa protagonista nella gestione e nella ripartizione dei fondi del Recovery.
Mi auguro che il Governo riconosca che il risanamento e il rilancio dell’Italia debba necessariamente passare dal definitivo superamento della “questione meridionale”.