Depositate motivazioni della sentenza 32/20 della Consulta in relazione ai "reati ostativi". Incostituzionale estendere lo stop ai benefici penitenziari per chi ha commesso reati contro la Pa prima dell'entrata in vigore della legge
ROMA – Non si può applicare retroattivamente la legge anticorruzione, con effetti diretti sull’accesso ai benefici penitenziari per i cosiddetti reati ostativi, previsti dalla ‘Spazzacorrotti’. Al palazzo della Consulta sono state depositate le motivazioni della sentenza emessa dalla Corte Costituzionale, anticipata dalla nota dello scorso 12 febbraio.
“Se al momento del reato è prevista una pena che può essere scontata fuori dal carcere, ma una legge successiva la trasforma in una pena da eseguire dentro il carcere, quella legge non può avere effetto retroattivo”, è la motivazione di fondo che ha guidato i giudici costituzionali.
Infatti, si spiega, “tra il ‘fuori’ e il ‘dentro’ vi è una differenza radicale: qualitativa, prima ancora che quantitativa, perché è profondamente diversa l’incidenza della pena sulla libertà personale”.
Sul filo di questo ragionamento, con la sentenza numero 32 del 2020 depositata ieri, relatore Francesco Viganò, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima l’applicazione retroattiva della legge numero 3 del 2019, la cosiddetta ‘Spazzacorrotti’, “là dove estende alla maggior parte dei reati contro la pubblica amministrazione le preclusioni alle misure alternative alla detenzione, già previste dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario per i reati di criminalità organizzata”.
La decisione della Corte Costituzionale rivede in qualche modo il tradizionale orientamento, espresso sia dalla Cassazione che dalla stessa Consulta, secondo il quale “le pene devonoessere eseguite in base alla legge in vigore al momento dell’esecuzione della pena e non a quella in vigore al momento del fatto commesso”. Nelle motivazioni della sentenza si premette che “il principio sancito dall’articolo 25 della Costituzione, secondo cui nessuno può essere punito con una pena non prevista al momento del fatto o con una pena più grave di quella allora prevista, opera come uno dei limiti al legittimo esercizio del potere politico, che stanno al cuore stesso del concetto dello Stato di diritto”. Quindi, “se di regola è legittimo che le modalità esecutive della pena siano disciplinate dalla legge in vigore al momento dell’esecuzione e non da quella in vigore al momento del fatto, anche per assicurare uniformità di trattamento tra i detenuti”, ciò non può però valere “allorché la normativa sopravvenuta non comporti mere modifiche delle modalità esecutive della pena prevista dalla legge al momento del reato, bensì una trasformazione della natura della pena e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato”.
La legge anticorruzione ‘Spazzacorrotti’ ha reso “assai più gravose le condizioni di accesso alle misure alternative alla detenzione e alla liberazione condizionale, sicché non può essere applicata retroattivamente dai giudici”. Identiche considerazioni valgono per il meccanismo processuale della sospensione dell’ordine di esecuzione della pena in caso di condanna a non più di quattro anni per chiedere al tribunale di sorveglianza l’ammissione a una misura alternativa alla detenzione.
Dopo aver rilevato che la legge ‘Spazzacorrotti’ “non contiene alcuna disciplina transitoria”, la Consulta ha dichiarato incostituzionale la norma “in quanto interpretata nel senso che le modificazioni da essa introdotte si applichino anche ai condannati per fatti commessi prima della sua entrata in vigore, con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena”.
I principi sanciti “non riguardano i permessi premio e il lavoro all’esterno, che quindi continuano ad essere regolati dalla legge in vigore al momento dell’esecuzione della pena”. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha chiarito che “questi benefici non possono essere negati ai detenuti che abbiano già svolto un proficuo percorso rieducativo”.
La questione relativa all’incostituzionalità della legge n.3/2019 non si chiude qui. Proprio oggi la legge è tornata al vaglio dei giudici costituzionali, chiamati a stabilire se peculato e induzione indebita possano essere inclusi tra i delitti gravissimi (come quelli di mafia e terrorismo) che non consentono per legge l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione in assenza di collaborazione del condannato.
A portare la questione davanti alla Consulta la Corte di appello di Caltanissetta e la Cassazione, in riferimento al reato di peculato, e la Corte di appello di Palermo, per l’induzione indebita.
L’avvocato dello Stato, Maurizio Greco, ha chiesto alla Corte di dichiarare inammissibile la questione per manifesta irrilevanza, visto che la vicenda al centro del procedimento di Caltanissetta è anteriore all’entrata in vigore della Spazzacorrotti e l’ordinanza di carcerazione per il condannato è stata intanto sospesa, sicché la Corte dovrebbe pronunciarsi su una questione “ininfluente” nel caso concreto. Ma si è comunque speso per la legge voluta fortemente dal ministro Bonafede, e in particolare per la stretta sui benefici penitenziari, che “è adeguata e proporzionata” e ha permesso all’Italia, ha detto, di risalire nelle classifiche internazionali sulla lotta alla corruzione.
Patrizia Penna