ROMA – In Italia c’è un problema di spesa sociale e di assistenza ai cittadini più bisognosi. Lo ha messo nero su bianco la Corte dei Conti, che nei giorni scorsi ha pubblicato la “Relazione sulla spesa sociale negli Enti territoriali” – approvata dalla Sezione autonomie con Delibera n. 18/SEZAUT/2025/FRG – basata sul confronto tra i dati di bilancio degli Enti e le risultanze delle principali fonti statistiche nazionali. L’obiettivo dei magistrati contabili era descrivere la diffusione della spesa sociale sul territorio, correlando le erogazioni comunali con la reale domanda di assistenza e inclusione sociale. E il quadro che ne è venuto fuori non può certo dirsi incoraggiante.
La spesa sociale presenti squilibri
“Nel confronto con i principali Paesi europei – si legge nel documento – il sistema italiano di protezione sociale presenta ancora ampi margini di miglioramento. Pur registrando un livello complessivo di spesa sociale in rapporto al Pil sostanzialmente adeguato, la composizione della spesa evidenzia squilibri: la componente previdenziale risulta elevata, mentre altri ambiti di intervento restano sottofinanziati. Ne derivano disuguaglianze significative, in particolare nei riguardi dei cittadini privi di occupazione. La situazione è aggravata dal forte calo demografico: la natalità è tra le più basse al mondo e aumenta la popolazione anziana, con conseguenti bisogni crescenti di servizi sanitari e socioassistenziali. Al tempo stesso, l’indebolimento delle reti familiari e comunitarie accentua isolamento e solitudine”.
Tanti i cambiamenti avvenuti nel corso degli ultimi decenni
Il quadro descritto dalla Corte dei Conti è evidentemente influenzato dai cambiamenti avvenuti nel corso degli ultimi decenni, con le disuguaglianze sociali che sono aumentate in modo marcato. Divari aggravati da precarietà lavorativa, erosione dei diritti e politiche neoliberiste che colpiscono i segmenti più vulnerabili della popolazione, con dinamiche che alimentano insicurezza, trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze e un crescente senso di esclusione. E tutto ciò in alcune zone del Paese in modo più marcato che in altre. “L’accesso ai servizi sociali – si precisa nella relazione – presenta rilevanti differenze a seconda del luogo di residenza, anche a parità di bisogni e condizioni familiari o economiche. Questa eterogeneità non riguarda solo il divario tra Nord e Sud, ma si riscontra anche tra territori della stessa Regione. L’offerta di servizi varia spesso, non per motivi demografici, ma in base alle condizioni socioeconomiche locali e anche, laddove sono stati introdotti standard minimi di prestazione, permangono forti squilibri territoriali”.
I magistrati contabili hanno estrapolato i dati dai bilanci comunali confluiti nella Banca dati della Pubblica amministrazione (Bdap), al fine di condurre un’analisi sistematica in merito alla distribuzione e all’andamento della spesa destinata al settore sociale. L’osservazione si è concentrata in particolare sulla cosiddetta Missione 12, che include la gran parte delle voci di spesa riconducibili alla sfera sociale. Da questo perimetro analitico, però, sono stati esclusi i servizi cimiteriali, in quanto ritenuti non configurabili, in senso stretto, come spesa sociale. L’indagine prende in considerazione il periodo compreso tra il 2019 e il 2024 in modo da garantire un orizzonte temporale sufficientemente lungo per includere il periodo pre-pandemico e consentire un confronto con eventuali variazioni strutturali nella spesa sociale. Sotto la lente d’ingrandimento anche gli effetti prodotti dalle recenti disposizioni normative concernenti il Fondo di solidarietà comunale (Fsc), che hanno inciso in modo rilevante sui bilanci degli Enti locali e, conseguentemente, sulle modalità di allocazione delle risorse destinate alle politiche sociali.
In crescita la spesa sociale nel Nord-Ovest
Il report della Corte dei Conti parla di trend “costantemente in crescita e prevalentemente concentrati nel Nord-ovest del Paese. Tale spesa è consistente anche nell’area del Nord-Est e del Centro, mentre è inferiore nel Sud e nelle Isole. Il Sud Italia, pur permanendo su valori di spesa in assoluto inferiori rispetto alle aree del Nord e del Centro, mostra comunque un incremento delle risorse destinate al sociale che è costante e proporzionalmente maggiore delle altre zone del Paese; per le Isole si assiste invece a un andamento che si attesta su valori modesti nel periodo 2019-2022, raggiungendo un lieve incremento nel 2023 per poi “crollare” nel 2024”.
Negli anni più recenti massima espansione della spesa sociale ma non nelle Isole
Come rilevato nella relazione nel biennio 2019-2020 l’andamento dei pagamenti destinati alla spesa sociale presenta una sostanziale stabilità nelle aree del Nord-Ovest (circa 2,2 miliardi di euro annui), del Nord-Est (circa 1,9 mld) e del Centro (circa 1,7 mld). Nel Sud continentale e nelle Isole si registra invece un incremento, con un passaggio da circa 1 miliardo di euro nel 2019 a valori compresi tra 1,1 mld e 1,2 mld nel 2020. Una dinamica che appare in parte spiegabile con l’effetto congiunturale della pandemia. Nel successivo biennio 2020-2021 la spesa cresce in tutte le macroaree, ad eccezione delle Isole. Gli anni più recenti, nello specifico 2023 e 2024, rappresentano infine il momento di massima espansione della spesa sociale. Nel 2024 i pagamenti superano complessivamente i 10 miliardi di euro, con un incremento del 3% rispetto al 2023. L’aumento riguarda tutte le aree del Paese, fatta eccezione per le Isole, che continuano a mostrare un andamento più debole. La crescita appare particolarmente significativa se confrontata con le risorse stanziate a livello centrale attraverso il Fondo di solidarietà comunale (FSC): l’entità dell’incremento, infatti, risulta ben superiore rispetto ai trasferimenti erogati dallo Stato. “Ne consegue – affermano dalla Corte dei Conti – che i Comuni hanno destinato al comparto sociale quote crescenti di risorse proprie, verosimilmente sottraendole ad altri ambiti di spesa.
“Analizzando più in dettaglio l’andamento dei pagamenti – viene evidenziato nella relazione – nel biennio 2023-2024 si nota come a livello nazionale i pagamenti complessivi siano in crescita, a eccezione delle Isole, ma non tutte le voci di spesa seguono questo trend. In particolare, decrescono su base annua gli interventi per la casa mentre aumentano quelli per infanzia e disabilità; le altre voci di spesa rimangono abbastanza costanti. Sono quindi le spese per infanzia e disabilità a trainare il complessivo aumento dei costi del welfare. In particolare, la spesa per l’infanzia si concentra nella costruzione e manutenzione dei fabbricati destinati ad asili nido, delineando una precisa scelta di investimento strutturale (sostenuta dai fondi Pnrr). Tale dinamica, oltre a rappresentare un cambiamento rispetto alla tradizionale ampia prevalenza della spesa corrente per sussidi e assistenza, indica l’avvio di un percorso di rafforzamento delle infrastrutture sociali, con potenziali effetti positivi di lungo periodo sia in termini di inclusione che di riequilibrio territoriale”.
Gli investimenti per potenziare i servizi all’infanzia
In ogni caso, “gli investimenti per potenziare i servizi all’infanzia hanno ricevuto un’attuazione a livello territoriale diversificata in termini di efficienza. Le aree più sviluppate mostrano un impegno maggiore e strutturale, mentre altre restano indietro, con il rischio di accentuare i divari nell’accesso ai servizi educativi. Questa situazione evidenzia la necessità di politiche e interventi capaci di garantire maggiore equilibrio e pari opportunità. Nell’area del Nord-Ovest e del Centro, l’incremento su base annuale ha riguardato soprattutto la disabilità e l’infanzia; nel Nord-Est si è ridotta la spesa per la casa mentre è aumentata quella per gli anziani e l’infanzia. Nel Sud la spesa per la casa, di per sé già bassa, è stata ulteriormente compressa, a favore di un incremento dei costi sostenuti per la disabilità e l’infanzia. Nelle Isole si assiste a una contrazione delle spese per casa (già molto modeste), per servizi sociali e per famiglie; inoltre, mentre le spese per anziani e disabilità restano abbastanza costanti, decrescono notevolmente su base annuale quelle per rischio sociale e per l’infanzia”.
I riflettori della Corte dei Conti sui dati pro capite
Lo studio della Corte dei Conti ha poi puntato i riflettori sui dati pro capite, mettendo anche in questo caso in evidenza sensibili differenze territoriali, anche all’interno delle stesse regioni. “Le medie territoriali – si sottolinea nella relazione – sono fortemente influenzate da situazioni specifiche. Nel caso delle Isole, per esempio, il valore elevato è quasi interamente attribuibile alla Sardegna, che registra una spesa di 465 euro pro capite; al contrario, la Sicilia si colloca su livelli molto più bassi (169 euro), contribuendo a evidenziare una forte disomogeneità nell’ambito dell’area insulare”.
Inoltre, come accennato, “anche all’interno della stessa Regione vengono in evidenza rilevanti differenze, segnalando come i valori medi regionali nascondano spesso situazioni molto eterogenee. In alcune realtà, infatti, la spesa pro capite risulta nettamente inferiore alla media regionale. È il caso della Spezia, in Liguria, con 138 euro pro capite contro una media di 211; di Lodi, in Lombardia, con 141 euro a fronte di 191; o ancora di Alessandria, in Piemonte, con appena 80 euro rispetto a una media regionale di 151. Altri esempi significativi si registrano a Belluno (104 euro contro i 146 regionali), Rieti (108 contro 200), Grosseto (106 contro 182), Brindisi (90 contro 166) e Catania (124 contro 169). Questi dati evidenziano come, anche in Regioni con livelli di spesa complessivamente adeguati, possano esistere aree caratterizzate da una capacità di spesa sociale molto più contenuta, spesso in relazione a vincoli di bilancio, minore pressione della domanda sociale o diversa capacità amministrativa. Al contrario, vi sono territori che si distinguono per livelli di spesa superiori alla media regionale, segnalando una scelta politica e amministrativa orientata a privilegiare gli interventi nel sociale. Ne sono esempi Parma (288 euro contro 214 della media emiliano-romagnola), Enna (250 contro 169 della media siciliana) e soprattutto Trieste, che con 638 euro pro capite rappresenta la città con la più alta spesa sociale non solo della propria Regione, ma dell’intera Italia, distanziando significativamente la pur elevata media regionale del Friuli-Venezia Giulia (420 euro)”.
Le conclusioni dei magistrati contabili parlano chiaro: “Nelle aree del Paese dove presumibilmente i bisogni sociali sono più elevati, la spesa sociale si mantiene invece su livelli contenuti”. Inoltre, si sottolinea come “persistono significative differenze territoriali. In particolare, alcune regioni meridionali e insulari mostrano una capacità di spesa sociale più limitata, che non tiene il passo con le dinamiche osservate altrove. Tale criticità rischia di ampliare ulteriormente il divario Nord-Sud, già consolidato in altri ambiti economici e sociali, e di compromettere l’uniformità dei diritti di cittadinanza”. Insomma, si va sempre più verso un’Italia fatta di cittadini di Serie A e cittadini di Serie B.
Competenze e sussidiarietà
Nell’ordinamento italiano la distribuzione delle competenze in materia di servizi sociali si fonda su un assetto multilivello definito dal Titolo V della Costituzione, che attribuisce specifici ruoli ai diversi livelli istituzionali. In particolare, le Regioni esercitano competenze di natura legislativa e regolamentare, mentre i Comuni sono incaricati della gestione amministrativa dei servizi, in continuità con una tradizione storica di intervento locale nel settore dell’assistenza.
Il finanziamento dei servizi sociali proviene principalmente dalla fiscalità generale, integrata, a partire dal 2014, da Fondi europei e Fondi nazionali legati alla programmazione comunitaria, contribuendo così a sostenere i servizi sociali territoriali in maniera sempre più articolata. La Legge quadro 8 novembre 2000, n. 328 ha rappresentato un punto di svolta nel settore. Essa ha introdotto un sistema integrato multilivello di interventi e servizi sociali, assegnando allo Stato il compito di definire gli obiettivi generali, i Livelli essenziali delle prestazioni, le priorità e le modalità attuative, mentre alle Regioni è stata affidata l’organizzazione dei servizi e la predisposizione dei piani regionali. Ai Comuni, infine, è stato attribuito il compito di realizzare l’integrazione tra sistema sanitario e sociale, tramite la redazione dei piani di zona in collaborazione con le Asl.
Il concetto di sussidiarietà ha assunto un ruolo chiave non solo nella distribuzione verticale delle funzioni tra istituzioni, ma anche nella promozione della partecipazione attiva dei soggetti sociali, come famiglie, associazioni e organizzazioni del Terzo Settore, riconosciuti come interlocutori capaci di rispondere in modo efficace ai bisogni locali. In questa prospettiva, la sussidiarietà verticale garantisce che le decisioni siano prese dal livello istituzionale più vicino al cittadino, mentre quella orizzontale valorizza l’iniziativa privata come espressione di autonomia e corresponsabilità sociale, delineando un modello di welfare collaborativo in cui pubblico e privato cooperano per la costruzione del bene comune.

