Parla Luigi Mazzone, presidente della Federazione italiana ed esperto di Neuropsichiatria infantile. “Possono sembrare mondi lontani ma quando si incontrano accade qualcosa di straordinario”
ROMA – Se lo sport diventa uno strumento di inclusione e connessione per i ragazzi autistici, abbattendo barriere e creando opportunità di crescita. Una realtà che esiste e che Luigi Mazzone ha raccontato al QdS: ex schermidore, fondatore dell’Accademia scherma Lia, è professore ordinario, direttore della Scuola di Specializzazione in Neuropsichiatria infantile dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata e della Uosd di Neuropsichiatria Infantile del Policlinico Tor Vergata.
Luigi Mazzone è anche presidente della Federazione italiana scherma e nel corso della sua carriera di medico ha focalizzato molto la sua attività sui benefici del Terzo settore e di quanto percorsi inclusivi attraverso l’attività sportiva siano di fondamentale importanza nel processo di sviluppo socio-relazionale: “Ci sono indubbi benefici che la pratica sportiva per le persone autistiche può giovare nel percorso di crescita – ha detto Mazzone – con la Fis abbiamo avviato un progetto specifico per l’autismo: la bellezza di tirare insieme nella stessa squadra senza alcuna forma di diversità è un idea vincente”.
Com’è nata l’Accademia scherma Lia?
“L’idea è nata dal cuore, dall’unione di due grandi passioni che hanno sempre guidato la mia vita: la scherma e il mio lavoro come neuropsichiatra infantile. Prima atleta, poi maestro, ho sempre vissuto la scherma come una parte essenziale di me. Allo stesso tempo, ho cercato di portare nel mio lavoro clinico l’energia e i valori dello sport, convinto che i due mondi potessero incontrarsi. L’Accademia scherma Lia è proprio questo: il punto in cui si incontrano il camice bianco e la divisa da maestro, la mente e il corpo, la cura e il gesto atletico”.
Come si adatta l’approccio del maestro con un atleta autistico?
“Accogliere un ragazzo nello spettro autistico in una sala di scherma richiede attenzione e sensibilità. L’approccio iniziale deve essere fortemente personalizzato, perché questi ragazzi possono essere particolarmente sensibili ai rumori forti e all’ambiente caotico tipico delle palestre. Per questo è importante inserirli in momenti di tranquillità e guidarli gradualmente nell’attività. Un aspetto centrale è comprendere il livello cognitivo del ragazzo: circa la metà delle persone autistiche presenta anche una disabilità intellettiva. In questi casi, è necessario spiegare con chiarezza e semplicità le dinamiche della scherma. Quando invece il livello cognitivo è nella norma, l’attenzione si concentra soprattutto sulla gestione degli stimoli sensoriali e sulla costruzione di una relazione efficace. In ogni situazione, ciò che conta è costruire un percorso su misura, rispettando i tempi e le caratteristiche individuali dell’atleta”.
Scherma e autismo: un incontro che crea connessioni.
“Scherma e autismo possono sembrare mondi lontani, ma quando si incontrano, accade qualcosa di straordinario. La pedana diventa un luogo dove il ragazzo autistico impara a leggere l’altro, a intuire le sue intenzioni, a relazionarsi. Perché in pedana l’avversario è lì, a mezzo metro, e non si può ignorare: bisogna entrare in relazione, comunicare con il corpo e con la mente. La scherma allena proprio ciò che spesso è più difficile per chi è nello spettro: la comprensione dell’altro, l’anticipazione dei gesti, la consapevolezza delle proprie azioni. E poi c’è l’arma, un oggetto che dà sicurezza, che il ragazzo impugna con cura e attenzione. E c’è la luce che si accende, il suono che accompagna la stoccata: segnali visivi e uditivi che rinforzano positivamente l’azione, parlando il linguaggio sensoriale che molti bambini autistici conoscono bene. Infine, c’è anche la squadra: il gruppo diventa una piccola comunità, un contesto sicuro dove nasce la voglia di condividere. La scherma, in fondo, non è solo uno sport. È un ponte che unisce, un gesto che diventa relazione, un colpo che accende una luce, dentro e fuori dalla pedana”.
Quale futuro per le competizioni dei ragazzi affetti da autismo?
“Oggi, i ragazzi con spettro autistico partecipano principalmente a circuiti dedicati, pensati per rispondere meglio alle loro esigenze. Ma il sogno, il vero obiettivo, è un altro: costruire un mondo in cui esista sì uno spazio su misura per chi ne ha bisogno, ma in cui, allo stesso tempo, un ragazzo autistico con un buon funzionamento cognitivo possa scegliere di gareggiare fianco a fianco con gli altri. Un mondo in cui l’inclusione non sia una concessione, ma una possibilità reale. In cui ogni atleta, indipendentemente dalla sua diagnosi, possa sentirsi parte di qualcosa, con la libertà di competere dove si sente pronto. Perché la vera vittoria, alla fine non è solo una medaglia, ma l’incontro tra diversità e rispetto, dentro e fuori dalla pedana”.