Editoriale

Lo stipendio non è una variabile indipendente

Qualcuno potrà chiedersi perché il rapporto fra lo stipendio e la prestazione venga considerato nell’odierna analisi come un argomento di tipo etico. La risposta è evidente e cioé che vi deve essere sempre un rapporto equilibrato fra prestazioni e controprestazioni, non solo sul piano giuridico e contrattuale, ma soprattutto, appunto, sotto quello etico.
Ricordiamo ancora una volta che il giudice Giovanni Falcone, quando riceveva lo stipendio, si chiedeva: “Me lo sono meritato?”.

Ecco, è proprio questo il punto e cioè che ogni percettore di qualunque compenso, sotto qualunque forma, dovrebbe sempre chiedersi se lo ha meritato. Tradotto significa che ha dato quanto e più di ciò che ha ricevuto.
Ne consegue la domanda di ordine generale che riguarda l’universo dei percettori di compenso, i quali poco frequentemente si chiedono se lo hanno meritato.
Questo è un punto nodale nel quale il dovere di dare viene prima del diritto a ricevere.

I precettori di compenso fisso, cioè dipendenti di qualunque ordine e grado, compresi dirigenti e funzionari, secondo i Contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl), devono effettuare prestazioni nell’ambito di un orario di lavoro massimo settimanale, che oscilla fra le trentasei ore (dipendenti pubblici, giornalisti) e le quaranta ore.

Stabilito il perimetro del tempo che ogni persona impiega per le sue prestazioni, quasi mai esse sono elencate e identificate ed altrettanto raramente esiste una sorta di cronoprogramma che stabilisca i tempi ed i modi per realizzare gli obiettivi previsti.
La carenza di questi elementi fa zoppicare il contratto di lavoro perché rimane certo il diritto a ricevere un compenso, ma nebuloso quale debba essere il risultato (quantità e qualità) in rapporto al compenso stesso.
Non vi sembri una questione di lana caprina, ma le prestazioni di un lavoro hanno un contenuto economico che viene misurato dalla retribuzione. Quindi, se una persona percepisce cento, per esempio, deve dare almeno cento.

All’interno di questi rapporti di lavoro vi è un’altra questione rilevante, che ha un nome preciso: produttività. Che significa? Significa che la capacità di chi lavora deve manifestarsi con il numero e la qualità di cose fatte e che dentro lo stesso perimetro orario si possono fare. Tradotto: nello stesso orario si possono fare più cose e si possono fare meglio.

Non si tratta di una mera contabilità, ma di un rapporto fra entrata ed uscita. Nel pubblico impiego, come è noto, la parola produttività non esiste, mentre è del tutto evidente che il rapporto di lavoro, come sopra si scriveva, ha una sola certezza: gli obblighi del datore (stipendi, tredicesima, Tfr, contributi, rimborsi ed altro).

Nel settore privato vi è invece una corrispondenza abbastanza precisa fra prestazioni e controprestazioni. In più, sono previsti i premi di produttività, per i quali la prossima legge di bilancio dello Stato 2024 prevede una tassazione con aliquota ridotta al cinque per cento, appunto per favorirli.

Al legislatore ed alle parti che firmano il Ccnl, nonché a quelle che firmano i contratti dei dipendenti pubblici, non è mai passato per la testa (continua a non passargli) la questione della variabilità dello stipendio in funzione dei risultati, cioè in funzione del merito, sapendo che quest’ultimo si misura appunto con i risultati.

Se questa idea, per alcuni malsana, fosse passata per la mente delle parti contraenti (datore e prestatore di opera), si sarebbe dovuto stabilire il principio secondo cui: lo stipendio non è una variabile indipendente.

Esso, per conseguenza, dovrebbe essere commisurato alla quantità ed alla qualità delle prestazioni. Se questo principio etico fosse applicato, il Pil (Prodotto interno lordo) del nostro Paese farebbe un notevole balzo in avanti di diversi punti percentuali, il che significherebbe che, a parità di prestazioni, le cose fatte ed i servizi prodotti sarebbero notevolmente superiori per quantità e qualità.
Seppure la questione sembri irreale, abbiamo il dovere di sottoporla all’attenzione dell’opinione pubblica.