L’arrivo a Catania del questore Molina
Ad ogni modo questo omicidio fu l’assist perfetto per mandare a Catania il questore Alfonso Molina che doveva intervenire per ripulire Catania dagli omosessuali e dall’omosessualità, “questo male endemico che avrebbe indebolito tutta la razza”, come scrisse lo stesso Molina.
Il questore arrivò nella città etnea nel 1938. “Ritengo indispensabile, nell’interesse del buon costume e della sanità della razza, intervenire con provvedimenti più energici perché il male venga aggredito e cauterizzato nei suoi focolai”, diceva. Molina iniziò dunque una vera e propria caccia agli omosessuali.
Tutti e 45 questi uomini, tra il 13 gennaio e il 13 febbraio del 1938, furono pedinati in tutte le zone della città in cui gli omosessuali erano soliti riunirsi. A partire dalle zone circostanti all’”arvulu rossu” (l’albero grosso, il platano ancora oggi presente nei pressi degli archi della Marina, dove i gay cercavano incontri) per poi essere stanati in piazza Sant’Antonio nei pressi della quale, in via Sapuppo, vi era la sala da ballo per soli uomini in cui si vedevano dalle 20 a mezzanotte per ballare, la sala Sapuppo. “Una sala spoglia – come scrisse lo stesso Molina nel suo rapporto – con appena un organetto, un violino e delle percussioni”.
L’inizio delle umiliazioni per i 45 uomini
I 45 uomini furono identificati nell’uscita laterale della sala, in via Sapuppo. “A tutti fu chiesto se erano “masculi” o “arrusi” (termine catanese sinonimo di omosessuale). – continua il presidente di Lab5 – A quei tempi non vi era la consapevolezza dell’omosessualità, molti uomini che andavano con altri uomini erano anche sposati. A Molina interessava intercettare i passivi, le ‘femminelle’, che erano considerati i veri deviati e perciò da punire. Una volta individuati, i 45 omosessuali vennero portati al carcere di piazza Lanza per 15 giorni, poi all’ospedale Garibaldi. Ed è qui che subirono la violenza vera e propria. Qui infatti furono oggetto di esperimenti con lo speculum, l’oggetto utilizzato in ginecologia che, tra le altre cose serviva a valutare l’elasticità dell’ano e quindi capire se erano stati penetrati e quindi si erano “macchiati” del crimine di pederastia”.
Il confino alle isole Tremiti
Sulla base di queste prove vennero poi spediti sulle Isole Tremiti, a San Domino (era il 1939) dove vennero confinati e costretti a vivere in due capannoni, e solo il 7 giugno del 1940 vennero rimandati in Sicilia solo perché l’isola serviva per rinchiudere altri confinati politici.
“Una volta rientrati in Sicilia questi uomini vissero come emarginati; per due anni vennero ammoniti (costretti a firmare ogni giorno in questura), molti persero la dignità e il lavoro, persino i rapporti con la famiglia. Molti si fermarono a vivere a San Berillo che diventò una sorta di rifugio dei peccatori”.
Passati due anni, su questa storia cadde l’oblio, la sala da ballo venne chiusa (oggi è una sala scommesse come si vede dalle foto).
Cinquemani ci svela poi una sua teoria. Sino ad allora i gay a Catania erano chiamati “arrusi”, da allora prese piede l’appellativo di “puppo” che, secondo il presidente di Lab5, deriverebbe proprio dalla sala Sapuppo, il primo locale da ballo per gay di Catania. La storia è oggi quasi sconosciuta, caduta nell’oblio. Ecco cosa successe dopo. CONTINUA LA LETTURA

