La chimera, come tutti sanno, è un mostro mitologico con testa e corpo di leone, una seconda testa di capra e coda di serpente. Il suo significato figurativo, più consono a ciò di cui stiamo parlando, è quello di un desiderio irrealizzabile, un’illusione, una fantasticheria, tant’è che si suole dire “stai inseguendo una chimera”. La Sicilia, forte del suo leggendario passato costruito su miti e riti, ha oggi finalmente la sua nuova chimera: il Piano regionale dei rifiuti.
Dopo i proclami altisonanti dei mesi scorsi quali “siamo al lavoro” e anche “è oramai in via di definizione”, lo scorso 6 novembre sembra essere partito l’iter per ottenere la Valutazione ambientale strategica relativa all’aggiornamento e all’adeguamento del Piano regionale dei rifiuti perché il presidente della Regione, Renato Schifani, ha presieduto a Palazzo d’Orleans un tavolo tecnico, alla presenza dell’assessore ai Rifiuti Roberto Di Mauro, del dirigente generale del dipartimento competente Calogero Burgio e di esperti e tecnici dell’amministrazione regionale. Non solo. Proprio in quell’occasione, ci è stato comunicato, l’affaire termovalorizzatori sembra aver trovato un posto al tavolo anche se “condizionato ai contenuti del nuovo Piano” e che proprio da quel giorno avrebbe preso il via il periodo di 45 giorni utili per la presentazione di eventuali osservazioni.
Quindi, viene da pensare, tutto a posto, il Piano regionale dei rifiuti c’è e, finalmente, si chiude una storia infinita. In realtà, dopo un rapido giro di telefonate, il Piano sembra esserci ma in realtà non è ancora disponibile per quanti, istituzionalmente, dovrebbero averlo avuto proprio per poter presentare le “eventuali osservazioni”. Il primo elemento dissonante del comunicato stampa che aveva l’onere, e non l’onore, di dire “ce l’abbiamo fatta” è proprio questo. Il Piano regionale dei rifiuti della Regione Siciliana, per ora è rimasto nei cassetti della scrivania dell’Assessorato. Lo ha confermato al QdS Josè Marano, Vice Presidente della IV Commissione – Ambiente, territorio e mobilità” che, raggiunta telefonicamente, ci ha dichiarato “non ci è stato consegnato nulla” e lo hanno confermano anche i presidenti della Ssr Siracusa Corrado Figura, della Ssr Catania Francesco Laudani e della Srr Palermo Natale Tubiolo dichiarando che “ancora non ci è stato consegnato nulla ma contiamo che, quanto prima, ci verrà inviato”. Lo stesso assessore Di Mauro, raggiunto telefonicamente, ha dichiarato che “invieranno il piano nei prossimi giorni”.
Tutto assolutamente lecito, sia chiaro, ma sorge spontanea una domanda: perché far partire il periodo dei 45 giorni messi a disposizione per le eventuali osservazioni dal 6 novembre quando non è ancora stato consegnato a chi, quelle osservazioni potrebbe produrle? Mi viene in mente la frase molto utilizzata nella strategie di marketing in un recente passato “stiamo lavorando per voi” ma, purtroppo, la mia mente evoca anche il famoso monito di Renzi a Letta “stai sereno”, monito da quel momento foriero di sventure. Anche perché, come se non bastasse tutto ciò, c’è il secondo elemento dissonante, quello relativo agli attori che hanno concorso alla realizzazione del piano.
Per la sua redazione era quantomeno necessario realizzare uno studio sui flussi di rifiuti esistenti in Sicilia e, a tal fine, redigere un documento che illustrasse le varie tipologie di rifiuti prodotti dalle varie Srr siciliane, studio affidato al dipartimento di Ingegneria dell’Università di Palermo anche per identificare in quali siti ubicare i termovalorizzatori, altra chimera siciliana. Come una doccia fredda, proprio nella comunicazione ufficiale della Regione Siciliana del 6 novembre si scopre che “Il nuovo documento è stato redatto, oltre che attraverso i dati pubblici messi a disposizione dall’Ispra, grazie al confronto con le Srr, società per la regolamentazione del servizio di gestione de rifiuti, e con i gestori attuali degli impianti, in modo tale da avere una “fotografia” reale della situazione nell’Isola”. Hanno forse dimenticato di indicare la collaborazione con l’Università di Palermo o, forse, si è preferito utilizzare i dati, e i tecnici, delle stesse Srr? Non ci è dato di saperlo. Terzo, e speriamo sia l’ultimo, elemento dissonante è che, sempre dalla lettura del comunicato, in realtà non si parla di un “nuovo” Piano rifiuti ma di un ”aggiornamento e all’adeguamento del Piano regionale dei rifiuti”.
Forse per meglio comprendere la situazione, è necessario fare un passo indietro. La storia infinita del Piano rifiuti siciliano – passata dai governi Cuffaro, Lombardo e Crocetta, con in mezzo anche “l’intrusione” dell’allora governo Renzi – è sembrata a una svolta lo scorso 12 marzo 2021, quando fu emesso un decreto presidenziale, il DP 8/2021 a firma dell’ex governatore Nello Musumeci, che mirava all’approvazione del “Piano regionale per la gestione dei rifiuti Urbani” e che conteneva gli elaborati tecnici, il rapporto ambientale, una dichiarazione di sintesi oltre alle linee guida, un programma di prevenzione e monitoraggio e il programma di riduzione dei rifiuti urbani biodegradabili da conferire in discarica.
In realtà come una doccia fredda, negli ultimi giorni del mese di maggio 2022, la Commissione europea l’ha bocciato ha messo a rischio i fondi destinati alla costruzione di tutti gli impianti dei rifiuti in programma in Sicilia fino al 2027. La nota della Commissione non lasciava molti dubbi: “Il Piano non è conforme alla Direttiva quadro sui rifiuti, perché mancano informazioni sufficienti sul tipo, la quantità e la fonte dei rifiuti prodotti sul territorio e una valutazione dello sviluppo dei flussi di rifiuti in futuro. Il Piano è privo di una descrizione chiara e dettagliata delle misure previste per conseguire gli obiettivi. Il piano non stima i costi futuri”.
Tutto da rifare, allora, e questa fu la strada intrapresa dal nuovo Governo regionale retto da Renato Schifani. A tal proposito, nei primi giorni dello scorso mese di ottobre, l’Assessore Roberto Di Mauro dichiarò al QdS che si era reso necessario ripartire da zero perché “il ‘piano rifiuti’ varato dall’amministrazione precedente è in scadenza nel 2023 e, inoltre, le contestazioni che, al tempo, sollevarono eccezioni sulla mancanza di una descrizione chiara e dettagliata delle misure previste per conseguire gli obiettivi e sul fatto che non stimava i costi del piano”. “Quel piano, inoltre, è vincolato da una condizione – ha continuato Di Mauro -: a causa della la sua non approvazione, l’utilizzo dei fondi Fesr (Fondi Europei di Sviluppo Regionale, ndr) diventa debito per la Regione siciliana. Non avrebbe avuto senso considerarlo come punto di partenza. Oggi abbiamo contezza dei flussi, dell’impiantistica che nello specifico ci serve e ci servirà e, soprattutto, dove prevedere la costruzione, che deve essere in un sito efficiente sulla base del flusso dei rifiuti”.
Ma quanti sono i rifiuti che la Sicilia ha bisogno di smaltire? I dati dell’osservatorio rifiuti indicano una produzione media pro-capite di 450 kg/anno di rifiuti, di cui circa il 60% smaltito in discarica. E la tanto declamata raccolta differenziata? In questo caso c’è da dire che il dato complessivo regionale che nel 2021, secondo i dati Ispra, indica che la raccolta differenziata è cresciuta del 3,7% rispetto all’anno precedente, ha attestato l’isola al 42,3% di rifiuti raccolti in maniera differenziata permettendole di guadagnare, altro eufemismo, l’ultimo posto della classifica italiana, ben al di sotto dei livelli medi del Mezzogiorno (53,6%), dell’Italia (63%) e lontanissima da alcune regioni del Nord che superano abbondantemente il 70%.
Purtroppo non sono disponibili i dati aggiornati che potrebbero essere superiori a quanto indicato anche se, in realtà, oggi è più che mai necessario un “Piano rifiuti” organico, dotato di capacità previsionale. Armato di buona volontà, agli inizi del mese di settembre, il presidente Schifani volò a Roma per incontrare il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin che, in quell’occasione, gli assicurò il conferimento di poteri speciali e che, a breve, sarebbe stata realizzata una norma operativa che avrebbe consentito alla Regione Siciliana di poter realizzare uno o più termovalorizzatori utilizzando le medesime procedure fornite all’attuale sindaco di Roma Gualtieri. Ma, anche in questo caso, è arrivata l’ennesima doccia fredda. Nessun potere speciale perché, in realtà, la costruzione dei termovalorizzatori, in Sicilia, in questo momento è una delle due teste della chimera e, forse, anche perché, nel momento della scelta del Ministro, non esisteva un piano rifiuti con la necessaria “Valutazione ambientale strategica” che prevedesse i termovalorizzatori.
“Tempus fugit”, dicevano i latini e, visti anche i tempi tecnici necessari per la costruzione di questa tipologia d’impianto che, in regime normale, oscillano tra i 5 e i 6 anni dall’avvio dei lavori alla prima accensione del forno, probabilmente dall’alto del ponte sullo stretto di Messina, una volta ultimato, si potranno vedere, in lontananza, i cantieri necessari per la realizzazione dei termovalorizzatori e potremmo dire “ce l’abbiamo fatta” ma, riprendendo Alessandro Manzoni, per ora possiamo solo affidare “ai posteri l’ardua sentenza”.
R.G.
Danimarca, Olanda e Finlandia. Visto così potrebbe sembrare un itinerario turistico niente male e, perché no, un’occasione per prendere spunti utili su come fare passi in avanti in termini di vivibilità. In realtà, da un anno a questa parte, sono i paesi su cui la Sicilia scarica la propria inadeguatezza nella gestione del ciclo dei rifiuti.
Dalla fine del 2022, infatti, l’isola non è più capace di tenere al proprio interno l’indifferenziata ed è costretta a cercare spazi altrove. Sondaggio che, in realtà, è stato delegato pressoché nella sua totalità alla Sicula Trasporti, la società proprietaria della grande discarica di Lentini ormai satura e che da qualche anno è gestita dal tribunale di Catania, dopo essere stata sequestrata ai fratelli Leonardi in seguito all’inchiesta su corruzione, reati ambientali e mafia “Mazzetta Sicula”.
È l’impresa, infatti, che si occupa di individuare i privati a cui affidare il compito di trasportare fuori dai confini nazionali le migliaia di tonnellate di spazzatura prodotta in Sicilia. Un compito che Sicula Trasporti assolve una volta avere lavorato i rifiuti all’interno del proprio impianto di trattamento meccanico-biologico, un’operazione necessaria prima di destinare i rifiuti nelle discariche o, come nel caso degli impianti del Nord Europa, negli inceneritori. Impianti in cui lo smaltimento dei rifiuti passa dalla produzione energetica.
Avere delegato di fatto alla Sicula Trasporti il compito di trovare dove recapitare i rifiuti segue i tentativi, andati tutti a vuoto, da parte di alcune Società di regolamentazione dei rifiuti (Srr) – ovvero gli enti che alla stregua di consorzi intercomunali hanno il compito di occuparsi della pianificazione del ciclo dei rifiuti all’interno del proprio ambito territoriale – di sondare il mercato in cerca di soggetti interessati al trasporto della spazzatura. Laddove non è riuscito il pubblico con procedure a evidenza pubblica, il più delle volte per la difficoltà a proporre basi d’asta economicamente interessanti, ce l’ha fatta il privato. Il quale, a sua volta, dopo avere chiuso i contratti con le imprese trasportatrici, ha ribaltato i costi sui Comuni che, per legge, sono chiamati a finanziare il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti tramite la tassa sui rifiuti (Tari) e, dunque, grazie al contributo diretto dei cittadini.
Per cercare di attutire il contraccolpo per le casse finanziarie degli enti locali e le tasche dei cittadini, il governo regionale, all’epoca del governo Musumeci, ha annunciato lo stanziamento di circa 40 milioni di euro per finanziarie gli extra-costi. Al contempo la Regione nelle ultime settimane ha autorizzato l’ennesimo trasferimento all’estero di rifiuti: l’ultima meta, come detto, riguarda la Finlandia. Il paese scandivano è al centro di due diversi decreti varati dal dipartimento regionale ai Rifiuti: i documenti indicano come destinazione finale due impianti situati a Valko e Vantaa. Per un totale di 75mila tonnellate.
A poter determinare una temporanea riduzione dei trasferimenti potrebbe essere la riapertura della discarica di Oikos, tra Misterbianco e Motta Sant’Anastasia. L’ipotesi, che fino a qualche settimana fa sembrava archiviata in seguito alla sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa che ha decretato l’annullamento dell’autorizzazione integrata ambientale concessa nel 2019 dalla Regione, si è palesata in seguito alla decisione della ditta di proprietà della famiglia Proto di chiedere la revocazione del pronunciamento del Cga. Un’istanza che ancora deve essere valutata nel merito, ma che per il momento ha fatto ottenere all’impresa la sospensiva degli effetti della sentenza in cambio di una cauzione del valore di un milione di euro. Poca cosa rispetto al potenziale guadagno che deriverebbe dall’abbancamento dei rifiuti negli oltre 250mila metri cubi di discarica ancora a disposizione.
A completare il caotico quadretto c’è poi il recente annuncio da parte del governatore Renato Schifani dell’avvio dell’iter per modificare il piano regionale dei rifiuti varato nella primavera del 2021, sotto il governo Musumeci e quando a guidare l’assessorato c’era Alberto Pierobon. Quel piano, però, era carente soprattutto sul fronte dei termovalorizzatori, voluti a parole tanto da Musumeci quanto da Schifani ma per la cui realizzazione il percorso si presenta, al netto degli slogan, ancora lungo e tortuoso.
Il primo passo da fare è rappresentato, appunto, dall’approvazione dell’aggiornamento del piano: per farlo bisognerà prima accogliere le osservazioni che proverranno da tutti gli stakeholder. Tra questi ci sono anche le associazioni ambientaliste che da subito hanno annunciato il proprio impegno per cercare di dissuadere il governo dal puntare su una tecnologia ritenuta eccessivamente d’impatto e poco utile alla causa ambientale. Rilievi che potranno essere sottoposti nei prossimi 45 giorni anche se sull’avvio dei termini già mercoledì ha preso il la una prima polemica: il documento contenente le modifiche al piano risultava introvabile.
S.O.
RIMINI – “Una corretta e avanzata gestione dei rifiuti, in linea con gli obiettivi fissati a livello europeo, ha bisogno di piattaforme di riciclo, ma anche di impianti in grado di valorizzare energeticamente gli scarti dei processi di recupero e i materiali non riciclabili. Infatti, finiscono in discarica o vanno all’estero, per assenza di impianti, oltre 5 milioni di tonnellate di questi scarti che potrebbero generare energia per soddisfare i consumi di circa 5 milioni di italiani”. Sono queste le principali evidenze che emergono dall’analisi “Scarti del riciclo e rifiuti non riciclabili: l’impiantistica di back up fondamentale per l’economia circolare”, i cui dati sono stati diffusi da Assoambiente nel corso di Ecomondo a Rimini.
L’analisi rimarca i significativi passi in avanti compiuti negli ultimi 20 anni nella raccolta e gestione dei rifiuti in Italia: nel 2000 la raccolta differenziata era pari al 15% del totale dei rifiuti urbani raccolti, l’incenerimento pari all’8% e la discarica copriva due terzi del fabbisogno di smaltimento (67%). Nel 2021 la differenziata ha raggiunto quota 64% (19 milioni di tonnellate), il tasso di riciclo il 48,1%, il recupero energetico è pari al 18,3%, il 19% dei rifiuti urbani va in discarica. Una parte (mediamente circa il 20%) di ciò che i cittadini conferiscono correttamente nei contenitori della differenziata (o nel porta a porta) non può essere riciclato. A fronte di 14,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani riciclati, il sistema Italia genera circa 9,5 milioni di tonnellate di materiali non riciclabili tra: scarti prodotti dalle operazioni di riciclo (3,5 mln secondo l’attualizzazione di uno studio commissionato al Politecnico di Milano dalla società Nica), materiali provenienti dagli impianti di selezione (3,5 mln) e circa 3 milioni di tonnellate di rifiuto indifferenziato. Esportiamo, inoltre, all’estero 0,650 milioni di tonnellate di rifiuto urbano trattato. La maggior parte di questi flussi viene oggi conferita in discarica o va all’estero per mancanza di impianti, anche se circa 5,2 milioni di tonnellate di questi materiali avrebbero un potere calorifico idoneo ad essere trattati in via prioritaria da impianti di recupero energetico. Da questi, infatti, potremmo ottenere 3,6 milioni di MWh elettrici che potrebbero soddisfare i consumi di circa 5 milioni di italiani e che si aggiungerebbero all’attuale sistema di produzione di energia da rifiuti, pari a 4,5 MWhe.
“Una gestione dei rifiuti orientata al riciclo necessita prima di tutto di impianti di riciclo, ma, per funzionare, ha bisogno anche di un’adeguata rete di impianti capaci di trattare gli scarti delle differenziate, i materiali provenienti dagli impianti di trattamento meccanico biologico (i Tmb) e i flussi residui di rifiuto indifferenziato. Senza questa rete impiantistica gli stessi processi di riciclo entrano in crisi. Questa rete di impianti deve essere prevalentemente costituita da impianti di recupero energetico, sia per rispettare la gerarchia europea delle forme di gestione dei rifiuti, sia perché si tratta di materiali con un potere calorifico adeguato al recupero di energia, in parte fonte rinnovabile che contribuirebbe quindi ai processi di decarbonizzazione, oltre a ridurre i conferimenti in discarica”, ha commentato Chicco Testa, presidente Assoambiente.