Inchiesta

Dalle stragi alla morte di Matteo Messina Denaro. Palermo fa i conti con il passato e riflette sul futuro

PALERMO – “Sole che nasce e che muore, su questa storia senza più parole, che raccontammo con presentimento in un tramonto di fuoco, senza un filo di vento. Verranno giorni di pioggia e giorni, e giorni di malinconia, con gli aquilotti che hanno messo le piume e queste navi in bottiglia scivolate via”, cantava Mimmo Locasciulli con la sua “Intorno ai trent’anni”.

Il Maxiprocesso, uno spiraglio

E proprio trent’anni sono passati dall’inizio di quegli anni Novanta, un decennio che si sperava potesse traghettare Palermo fuori dall’incubo che l’aveva attanagliata negli anni Ottanta, quelli della seconda guerra di mafia, quelli in cui ogni giorno si contavano i morti annegati nel proprio sangue. Quegli anni Ottanta che videro cadere sotto il fuoco mafioso uomini delle istituzioni, poliziotti, carabinieri, magistrati, imprenditori, politici, giornalisti e semplici cittadini e che videro, per la prima volta, aprirsi uno spiraglio con l’inizio del Maxiprocesso, quel procedimento istruito dal pool antimafia voluto da Rocco Chinnici e originariamente composto dai giudici istruttori Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello che, a partire dal cosiddetto “Rapporto dei 162”, considerato l’embrione dell’ipotesi investigativa alla base del Maxiprocesso, mandò alla sbarra 475 imputati per diversi capi d’accusa, tra cui quello di associazione a delinquere di stampo mafioso e che si svolse nell’Aula bunker del Carcere Ucciardone di Palermo tra il 10 febbraio 1986 e il 16 dicembre 1987.

Trent’anni dall’inizio della latitanza di Matteo Messina Denaro, arrestato lo scorso 16 gennaio proprio a Palermo e morto alle 3,15 del mattino di ieri, dopo una lunga agonia dovuta alla sua malattia terminale, nel carcere di L’Aquila dove stava scontando la sua pena. Trent’anni da quegli anni Novanta in cui il cielo non si illuminò ma, di nuovo, fu oscurato dalle colonne di fumo delle stragi di Capaci e di via d’Amelio e dall’eco del colpo di pistola sparato alla nuca di don Pino Puglisi, parroco di Brancaccio, quel quartiere in cui comandavano i fratelli Graviano, artefici di quelle stragi, assieme a Matteo Messina Denaro, che nel 1993 insanguinarono non più solo la Sicilia ma l’Italia. Una Palermo assuefatta, disposta a tollerare, quando non complice, ebbe un sussulto. Lo ebbero i suoi cittadini, lo ebbero i suoi giovani. Per un attimo sembrò che lo ebbe anche lo Stato, che lo ebbero anche le istituzioni.

Palermo ancora una volta piena di nubi nere e dense

La fotografia delle piazze piene di palermitani che gridavano “No alla mafia” di quel periodo è oggi posata sullo stesso tavolo in cui c’è un’altra fotografia, scattata di recente, una fotografia di Palermo ancora una volta piena di nubi nere e dense. Una città in cui il controllo del territorio della criminalità organizzata di stampo mafioso è ancora ben presente, una città in cui, e lo dimostrano le diverse indagini delle Forze dell’ordine, la mafia continua ad agitare i suoi tentacoli nei vicoli, nelle strade e nelle piazze sia del centro storico sia delle periferie. Una città dolente che oggi deve anche fare i conti con una recrudescenza sociale che ha seguito la stasi dopo quella presa di consapevolezza che, ancora oggi e troppo spesso, è presa come esempio positivo di un riscatto sociale che in realtà non è ancora avvenuto. Illegalità diffusa, violenze sessuali, corruzione, spaccio di sostanze stupefacenti sono gli argomenti che troppo spesso dominano le prime pagine dei giornali. E a Palermo, come negli anni Settanta e Ottanta, si è ricominciato a morire per droga ma che ora non è eroina ma crack. E ancora una volta seppelliamo i nostri figli mentre la mafia fa affari, trasformandosi di nuovo in venditrice di morte.

Ma è davvero cambiata Palermo in questi trent’anni?

Ma è davvero cambiata Palermo in questi trent’anni? E se lo è, in peggio, in meglio o forse solo nella percezione che abbiamo della città? L’arresto di Messina Denaro e la sua morte hanno indebolito Cosa Nostra? Senza dubbio molte cose sono cambiate, ma non il potere di Cosa Nostra sul territorio anche se la famosa consapevolezza derivante dalle stragi del 1992 è riuscita a essere sprone per la nascita di tante e positive esperienze. Le statistiche dicono che Palermo non è nei primi posti, nella classifica nazionale delle città insicure ma, questa volta, i numeri non riescono a raccontare una città e, soprattutto, non riescono a far scattare quei campanelli di allarme sociale necessari.

Rimangono sul tavolo le due fotografie, quelle con la colonna nera e densa di fumo dei primi anni Novanta e l’altra, quella scattata oggi, altrettanto scura e piene di nuvole, la fotografia di un luogo in cui “non ho voglia più di fare la guerra con una città che sa menare le mani e con un pugno ti stende per terra”, cantava Mimmo Locasciulli e cantiamo noi oggi.

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