Mai distrarsi sottovalutando la pericolosità delle mafie - QdS

Mai distrarsi sottovalutando la pericolosità delle mafie

redazione

Mai distrarsi sottovalutando la pericolosità delle mafie

Roberto Greco  |
martedì 26 Settembre 2023

Lia Sava, Procuratrice generale della Corte d’Appello, avverte: “Cosa nostra non è sconfitta”

Lia Sava è la Procuratrice generale presso la Corte d’Appello di Palermo, prima donna a ricoprire quest’incarico. Dal 1998 al 2013 è stata pubblico ministero a Palermo e dal 2001 al 2011 ha fatto parte della locale Dda. Una donna da trent’anni in prima linea nelle indagini sui misteri siciliani. Il QdS l’ha intervistata chiedendole di tracciare il lungo percorso, che in una parte l’ha vista protagonista, che ha fatto Palermo dai primi anni Novanta a oggi.

Procuratrice, lei arrivò a Palermo dopo le stragi del 1992, quando la città era dominata da una forte onda emotiva dovuta alle stragi mafiose. Quale fu, allora, il suo impatto con la città?

“Palermo mi apparve come una città orgogliosa, che si rialzava con rapidi scatti di reni, dopo la ferita delle stragi. Un luogo non solo fisico ma un frammento di anime, tutte d’una bellezza fiera e senza pari. Rammento con chiarezza il fermento culturale, la voglia di riappropriarsi degli spazi di libertà, di giustizia, di etica che Cosa nostra aveva cercato di annientare attraverso il controllo capillare del territorio e utilizzando il tritolo per fermare proprio coloro che avevano la testa ed il cuore ben allineati e quindi erano in grado di contrastarla”.

Dopo le stragi del 1992, la Magistratura palermitana fu messa a dura prova sia per la continuità che era necessario dare al lavoro di Falcone e Borsellino, sia per lo scollamento esistente con il tessuto sociale. Qual è stato il lavoro di questi anni?

“La Magistratura palermitana è stata parte essenziale della rinascita di Palermo dopo le stragi. L’impegno profuso da tutti noi, giovani e meno giovani, è stato immenso e occorre darne atto. I colleghi che avevano avuto la fortuna di conoscere e lavorare al fianco di Falcone e Borsellino avvertirono una duplice spinta emotiva. Da un lato, continuare nella scia del metodo costruito dai colleghi trucidati – analisi scrupolosa delle risultanze investigative, ricerca del riscontro, circolazione delle informazioni all’interno di un ufficio e fra uffici, rigore nell’applicazione delle regole del processo – e, dall’altro, trasmettere quel metodo a noi che, provenendo da altre realtà, avevamo la necessità di afferrare l’essenza di un percorso per proseguirlo nel migliore dei modi. Si creò un amalgama ideale fra esperienze differenti che ha prodotto risultati straordinari, primo fra tutti lo smantellamento progressivo dell’ala corleonese dell’organizzazione mafiosa. Il tessuto sociale, il mondo studentesco ed universitario in particolare, nell’immediata fase successiva al 1992, hanno accompagnato la spinta ideale che sosteneva i magistrati, realizzando iniziative che hanno prodotto risultati di rilievo anche nell’ambito dei processi e mi riferisco, ovviamente ai ragazzi di ‘Addio Pizzo’ e all’importante sostegno che hanno dato a commercianti e imprenditori che decidevano di denunciare gli estorsori. È chiaro che, progressivamente, anche per ragioni storiche, l’avvento di nuove tecnologie che il crimine organizzato tende a sfruttare, le crisi economiche, le guerre, il fenomeno migratorio, la pandemia, per citarne solo alcune, unitamente alla strategia della ‘sommersione’ utilizzata da Cosa nostra che, abbandonato l’attacco frontale alle istituzioni prova a conviverci, hanno ‘distratto’ alcune fette, più o meno consistenti, della società civile che pare meno consapevole rispetto alla pericolosità della mafia e delle mafie. Ed è proprio questa ‘distrazione’ che mi allarma. Non sia mai che la ‘distrazione’ diventi l’anticamera della ‘sottovaluzione’. Sarebbe un errore clamoroso: Cosa nostra è fiaccata dai colpi che gli sono stati inflitti ma non è certo sconfitta e cerca di mantenere saldo il suo potere e il controllo capillare del territorio”.

Le indagini di questi ultimi anni ci hanno dimostrato che il controllo del territorio da parte della criminalità mafiosa non è cessato. Estorsioni, prevaricazioni, collusioni tra parti della società insospettabili e mafia continuano a essere un modello che, nonostante siano cessati gli omicidi eccellenti e il formale attacco allo Stato, opprime i cittadini. I recenti fatti di cronaca hanno evidenziato una recrudescenza sociale, spesso dovuta a diseducazione, fragilità culturali e perdita di valori. Cosa non è cambiato in questa città?

“La risposta è inevitabilmente complessa e articolata. Invero, da un lato la crisi economica post pandemica aumenta inevitabilmente il disagio sociale e dove c’è povertà si è potenzialmente tentati di accettare ‘l’offerta deviante’ del crimine organizzato che in maniera subdola si presenta come ‘agenzia di servizi’, mascherando il crimine come possibile alternative alla miseria. Dall’altro, i giovani sono bersagliati da messaggi diseducativi che non rispettano ‘l’altro’ e rappresentano la vita come ‘un eterno presente’ da utilizzare solo per l’agghiacciante soddisfazione di istinti primordiali. Ed ecco lo scenario dello spaccio e del consumo di stupefacenti, delle violenze, che annebbiano le coscienze oltre che il magnifico cielo della nostra città. Ma attenzione, non è un problema solo di Palermo. È un problema che abbraccia tante realtà dal Nord al Sud del nostro Paese e che è presente, in maniera sconfortante, in ogni parte del pianeta: Terra, pianeta che sanguina”.

Dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro qualcuno ha pensato che la mafia fosse stata sconfitta anche se in realtà sappiano che non è così. Con la sua morte ci dobbiamo aspettare una guerra intestina per l’assunzione del potere che potrebbe, di nuovo come avvenne negli anni Ottanta, coinvolgere loro malgrado i cittadini o si tratterà di un’operazione più silente?

“Cosa Nostra non è sconfitta, l’ho detto prima, anche se l’arresto di Matteo Messina Denaro realizzato dalla Procura di Maurizio De Lucia è un risultato straordinario. Adesso è silente, è fluida, si adegua, cerca alleanze, vuole fare affari. Non sappiamo cosa accadrà al suo interno ma una cosa è certa: la guerra a Cosa nostra non è finita. Occorre farla adesso con armi più sofisticate che la Dda di Palermo prosegue, ininterrottamente, a perfezionare. Questo è certo”.

Oggi, anche a causa della crisi economica, i palermitani hanno visto scalfirsi le proprie certezze e, come dimostrato da dati recenti, nuovi poveri si sono aggiunti alla già grande fascia di fragilità di questa città. Il loro grido di aiuto è spesso inascoltato. È solo colpa di questa città oppure pensa che non siano stati creati o rafforzati gli strumenti di contrasto alla povertà e non ci sia una sufficiente attenzione nei confronti degli ultimi?

“Nei confronti degli ultimi si può e si deve fare di più. Tutti possiamo fare di più. Unendo le forze, Chiesa, Istituzioni, intellettuali attenti, possono determinare un cambio di passo, non solo qui a Palermo, ma in ambito più ampio, più esteso”.

In chiusura. Continua a piacerle questa città e, se dovesse fare oggi la scelta che fece nel 1992, la rifarebbe?

“Io amo Palermo. È un amore profondo e ormai maturo. Che scaturisce da una conoscenza via via più attenta delle sue strade, dei suoi monumenti, della sua gente, delle sue chiese. Ed è proprio in alcune chiese del centro storico, nel silenzio di certe attese della Messa domenicale, che io trovo il senso profondo del mio lavoro a Palermo. Mi soffermo a osservare tanti uomini e donne intenti a pregare. Persone semplici, umili, che portano a Dio il loro dolore e le loro speranze. Non imbracciano armi, non chiedono il pizzo, non stuprano, ma congiungono le mani e chiedono a Dio tutela per i loro diritti, sperano in un lavoro, in un po’ di serenità. E poi, al momento del ‘segno di pace’ si girano e ti regalano un sorriso, nonostante tutto”.

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