Giarre. 31 ottobre 1980. Vengono trovati morti mano nella mano Giorgio Agatino Giammona e Antonio Galatola uccisi da un colpo di pistola alla testa. Accanto a loro un biglietto: “Ce ne andiamo perché siamo stanchi delle ingiurie”. Dopo il ritrovamento, una breve indagine ma nulla più. Si paventò l’idea di un omicidio – suicidio. Quell’evento, però, portò alla creazione del primo collettivo del Fuori! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) della Sicilia Orientale, da cui è nato l’Arcigay. A distanza di quarantuno anni, Giuseppe Fiorello si ispira liberamente alla storia per “Stranizza d’amuri”, il suo primo lungometraggio da regista al cinema dal 23 marzo 2023.
Nel film è il 1982, l’anno della vittoria dei Mondiali di calcio per l’Italia, Gianni e Nino si incontrano per caso e poi si amano per scelta. Il loro amore non viene compreso dalle rispettive famiglie, generando un conflitto interno forte e doloroso né dal paese che alimenta pregiudizi e mal dicerie.
“Stranizza d’amuri”, prodotto da Iblafilm, Fenix Entertainment con Rai Cinema in associazione con Silvio Campara, Golden Goose e Generalife, è stato girato tra Noto, Marzamemi e Priolo. Oltre a Samuele Segreto e Gabriele Pizzurro, nel cast ci sono anche: Fabrizia Sacchi, Simona Malato, Antonio De Matteo, Enrico Roccaforte, Roberto Salemi, Giuseppe Spata, Anita Pomario e Giuseppe Lo Piccolo.
Il Suo sogno era diventare regista. Con “Stranizza d’amuri” lo ha realizzato. Che regista è?
“Il mio sogno era raccontare una storia che mi suscitasse curiosità, interesse ed emozione. Farlo dal punto di vista della regia sarebbe stata una doppia emozione. Per realizzarlo ci vogliono persone che credano come te nel sogno, le ho trovate e quindi eccoci qua. È stato un viaggio molto bello e appassionante. In realtà, io avevo in tasca questa storia che mi ha sempre ispirato e che mi aveva sempre colpito il cuore”.
“Mi ero sempre promesso, e avevo promesso in qualche modo a quei due ragazzi, di restituire loro qualcosa, forse quel pezzo di vita della giovinezza, anche attraverso la finzione cinematografica. Mi sono liberamente ispirato a quei fatti di cronaca e poi mi sono affidato totalmente alla mia immaginazione. Ho creato una storia insieme agli sceneggiatori che racconta di due ragazzi che si incontrano, si conoscono, nasce un’amicizia poi un amore che genera paura, odio e tutto quello che poi, credo, abbia portato alla fine di quei due ragazzi”.
Cosa ha scoperto del mestiere di regista che da attore non immaginava?
“Facendo l’attore, ho sempre capito che il mestiere del regista è complesso, complicato e difficile. Come tutti i mestieri del resto. Bisogna avere una grande capacità di sopportare e supportare tutta una serie di rivoluzioni quotidiane che ci si presentano davanti inaspettate: dalle cose più semplici alle più complesse. È un susseguirsi continuo e quotidiano per tutta la durata del corso d’opera di cose da risolvere. È un percorso a ostacoli che però rende questo mestiere particolare ed eccitante. Quando poi si riesce a trasformare un problema in opportunità, lì si raggiunge veramente il massimo dell’entusiasmo”.
“Stranizza d’amuri” si basa su un fatto di cronaca avvenuto a Giarre nel 1980. Cosa l’ha spinta a raccontare questa storia tra tantissime altre?
“Il fatto che quella storia era stata per troppo tempo dimenticata e che nella sua drammaticità e nella tragicità dei fatti ha generato la nascita di un movimento importante per i diritti civili e omosessuali dando la spinta perché molte persone si riversassero sulle strade a protestare dinanzi a un omicidio che era stato di stampo odioso. Non è stato un incidente stradale, ma la scena del delitto all’epoca fu molto chiara: c’era una pistola. Ci fu una velocissima indagine che non portò a nulla e il tutto si chiuse con il sospetto che fosse stato un omicidio – suicidio”.
“Mi sembra che nessuno abbia mai tirato fuori l’unica e assoluta verità; quindi, io non avevo neanche elementi per fare un film di quel genere. Per questo, mi sono ispirato a questo fatto e il mio film ha immaginato una storia tra due ragazzi. Non è un film tematico né militante. È un film poetico e io ho voluto raccontare la poetica dell’amore tra due ragazzi e della mia Sicilia. Poi sono felice che qualcuno possa trovare, anche tra le pieghe, un tema di denuncia però alla base c’era la volontà di fare un film poetico”.
I protagonisti del film “Stranizza d’Amuri” sono interpretati da Samuele Segreto e Gabriele Pizzurro. Perché ha scelto proprio loro?
“Non è stata una scelta immediata. Quando li ho visti, li ho catturati subito, ma ho continuato a fare ricerca. Nel mio cuore, però, erano rimasti loro due. Ho cercato tanto ed ho incontrato tanti bravissimi giovani attori, ma tanti, e quindi la scelta si faceva sempre più complicata perché erano tutti molto bravi. Io cercavo quelli giusti e allora loro, tra tutti quelli bravi, erano i più giusti. Mi sono affidato alla loro purezza professionale nel senso che Gabriele Pizzurro non aveva mai fatto cinema e Samuele Segreto, forse aveva fatto qualcosa, ma nulla da protagonista assoluto. Questa loro purezza mi sembra che sia calzata perfettamente nei personaggi e io li vedo puri in scena perché non hanno le sovrastrutture, neanche attoriali. Sono loro, sono naturali”.
Il film è ambientato nel 1982. È un’Italia diversa quella di oggi nei confronti degli omosessuali?
“Si sono fatti dei passi avanti, delle grandi rivoluzioni e delle grandi battaglie. C’è molto da fare se ancora siamo qui a parlare dell’omosessualità come un tema sociale. Ti dirò che siamo cambiati quando l’omosessualità e l’amore tra due persone dello stesso sesso non sarà più un tema, ma farà parte della vita perché ogni giorno esce un articolo su queste tematiche. Io vorrei un giorno non discuterle più, perché le devo ritenere naturali, non normali, come è naturale essere quello che si è. Ognuno deve essere libero di essere quello che vuole essere”.
È una pura coincidenza che il film “Stranizza d’amuri” arrivi nelle sale proprio quando nel Paese si discute di genitorialità delle coppie LGBT+. Qual è la Sua posizione?
“Sì, è una casualità! Il film non tratta una storia di quel genere, però me lo chiedono sempre e io dico che, siccome si tratta di bambini, penso che si debba stare attenti a usare certi termini. Ho sentito parlare addirittura di ‘spaccio di bambini’, quindi si usano termini veramente sbagliati e poco delicati. Bisogna pesare le parole perché le parole sono importanti”.
Nel film c’è anche la Sua Sicilia. È arrivato il tempo per dare spazio a storie che non siano su criminalità organizzata e malavita?
“Sì, certo! Si fa il cinema siciliano senza per forza passare attraverso la mafia. Ci sono degli esempi importanti. Certo, la nostra storia è ricca di quei fatti drammatici che ispirano. Molto spesso siamo a volte attratti e affascinati da certe storie, però c’è spazio per raccontare anche un’altra Sicilia e molti registi lo fanno. Roberto Andò con ‘La stranezza’ ha raccontato le meravigliose gesta poetiche di Pirandello e ha mostrato un’altra Sicilia, quella altissima”.
È interessante che abbia scelto di raccontare una storia di provincia. Zavvo Nicolosi, regista de “La primavera della mia vita”, crede fortemente nella ricchezza delle province italiane. E lei?
“Sono pienamente d’accordo. La provincia è la palestra della vita dove ci si formano proprio i muscoli del carattere e del sapere. È una scuola di formazione. Nella provincia, però, si annidano anche le frustrazioni che sono pericolose perché, se implodono, poi si trasformano in cose negative. Se vissuta con amore e bene, la provincia dà la voglia anche di emergere, ti dà quella spinta propulsiva a farcela. Molte altre volte però la provincia ti schiaccia. Dipende da molti fattori. Più che alla provincia, penso che si debba dare spazio alla famiglia perché la famiglia è la vera provincia di ogni essere umano”.
Le piace la Sicilia di oggi?
“Mi è sempre piaciuta la Sicilia da quando l’ho vissuta a quando sono andato via. Adesso vado e vengo, però io amo la mia terra. Ci sono stati momenti anche di odio e amore in quel tratto di vita in cui si vuole esplorare il mondo. Ecco, quella provincia che però non ti molla perché non ti incoraggia. È vero quanto detto prima sulla provincia e la poetica, ma c’è anche la provincia che non ti gratifica, anzi ti schiaccia”.
“Me la ricordo la mia provincia. Quando c’era qualcuno che riusciva ad emergere, tutti addosso a dire: ‘Mamma, che vuole fare? Ma dove vuole andare?’. Quando ce la fai dalla provincia, spesso il successo può suscitare anche l’invidia e la cattiveria. La provincia, a volte, è spietata dinanzi a qualcuno che ce la fa. Della Sicilia di oggi sono orgoglioso dei giovani siciliani perché sono una generazione di grande volontà di migliorare e migliorarsi rimanendo lì, non andando via. Molti stanno tornando in Sicilia perché hanno proprio la voglia di ritrovare le radici”.
C’è qualcosa che la indispettisce?
“Mi indispettisce ancora qualche refuso omertoso. Ci sono ancora refusi delle vecchie generazioni che hanno vissuto fino a qualche tempo fa di omertà e di connivenze varie. Quella è una parte che rinnego della mia terra: quel sapere ma non dire, quell’avere ancora paura del malaffare e dei sistemi mafiosi, quel temere ancora che si possa denunciare. Quella parte lì ancora la rinnego con forza, però ho come la sensazione che sia una minima parte, seppur determinante. C’è ancora da lavorare lo so, ma ripeto, c’è una nuova generazione che non si lascia intimidire da niente e nessuno”.
Il film si intitola “Stranizza d’amuri”. È il titolo anche di una canzone di Battiato. È un omaggio al cantautore?
“Assolutamente sì! Il film è dedicato a Toni e Giorgio ed è un omaggio anche a Franco con il titolo della canzone che mi sembrava si sposasse perfettamente con la storia del film. Anche quella canzone racconta la storia di un amore impossibile perché vissuto in un momento in cui c’è la guerra. Mi sembrava un’associazione perfetta”.
Mostra da sempre molta attenzione per i giovani. Secondo Lei in cosa si sta sbagliando nei loro confronti e di cosa hanno bisogno?
“Penso che l’errore più grande che sta facendo la società nei confronti dei giovani è di pressarli. Le mie sono sensazioni. Non sono uno studioso né uno psicanalista. Parlo da padre di due ragazzi poco più che adolescenti e da un uomo che ascolta, legge le cronache, guarda i film e la televisione e cerca di capire”.
“Mi sembra ci sia una forte pressione sui ragazzi. Sembra che debba essere tutto troppo performante. Non hanno più il tempo di godersi la loro età, ma devono subito dimostrare che sono capaci e quella capacità non può essere di media portata, ma di altissimo livello altrimenti si rischia di essere tagliati fuori. Questa cosa mi infastidisce e mi addolora. Questo pressarli continuamente a esporsi e a essere prestanti, anche fisicamente, sta rischiando di distruggere una generazione e li mette con le spalle al muro e giudicati quotidianamente. Mi auguro che abbia una fine questa pressione su questi ragazzi perché non ne possono più”.
Cosa vorrebbe arrivasse di questo film – “Stranizza d’amuri” – agli spettatori in sala?
“Mi piacerebbe che arrivasse una sensazione di pace per quanto poi ci sono delle sequenze nel film molto forti. Da un punto di vista della storia, non voglio dire cosa mi aspetto: voglio lasciare la libertà a tutti di fare ognuno il loro viaggio. Da un punto di vista, invece, del progetto cinematografico, il film è pensato solo per il cinema. Non è destinato in questo momento a nessuna piattaforma. È un esperimento che con la produzione stiamo tentando di farlo vedere solo al cinema. Poi un giorno vedremo. Il mio intento era quello di dare allo spettatore la possibilità di tornare al cinema e quindi dare vita di nuovo alle sale perché è un film che mi auguro dia la sensazione di un viaggio dentro un’epoca, dentro dei sapori e dentro una luce che in nessun altro televisore potrai mai vedere come si vede in uno schermo cinematografico”.
Sandy Sciuto