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Lo strano destino dello Stretto di Hormuz da “porta di pace” a “porta della guerra”

Lo strano destino dello Stretto di Hormuz da “porta di pace” a “porta della guerra”
Stretto di Hormuz

Da escalation militare e instabilità economica possibili gravi conseguenze, anche sul fronte energetico, per l’Europa e l’Italia. Un passaggio indispensabile per il commercio internazionale, in particolare per il traffico di petrolio

Bab as-Salam, la “Porta della Pace”, così come in arabo viene indicato lo Stretto di Hormuz, dopo il recente attacco all’Iran da parte di Israele, spalleggiato dagli Stati Uniti, e la conseguente minaccia iraniana di chiudere lo Stretto, potrebbe diventare la porta per un’escalation militare dalle conseguenze economiche globali disastrose. Una scelta che metterebbe in crisi i maggiori esportatori di petrolio – Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Bahrain, Qatar e Oman – ma faciliterebbe la Russia di Vladimir Putin, che potrebbe trovare aperture nell’export di greggio.

Attraverso lo stretto di Hormuz passa un quarto del traffico globale di petrolio

Attraverso lo Stretto passa un quarto del traffico globale di petrolio e circa un terzo di quello di gas naturale. Ed è per questo che esso viene indicato anche come la “via del petrolio”: da quell’area ne passa circa il 30% del totale mondiale, con circa tremila navi che vi transitano ogni mese. Secondo il Financial Times, prima dell’attacco americano all’Iran, “i dati di tracciamento delle navi non mostravano impatti significativi sul traffico marittimo nello Stretto di Hormuz, dove ogni giorno transitano circa 21 milioni di barili di petrolio”.

Per l’Iran Hormuz è un passaggio indispensabile

Anche per l’Iran Hormuz è un passaggio indispensabile tant’è vero che diversi analisti hanno più volte definito un potenziale blocco dello stretto come un vero e proprio suicidio dell’Iran. Certo, oltre agli Stati Uniti, bersaglio principale della ritorsione iraniana, a essere danneggiata dalla chiusura dello Stretto sarebbe la Cina, che è la prima beneficiaria delle esportazioni energetiche provenienti da Hormuz, in particolare di quelle iraniane. Non a caso, nello scontro con Israele, le autorità cinesi sono intervenute attivando le sedi diplomatiche per sedare i conflitti. Ma sia le minacce iraniane che gli sforzi diplomatici cinesi si sono rivelati inutili poiché Netanyahu, con l’appoggio di Trump, sembra determinato ad andare avanti.

Oltre alla minaccia nucleare, gli israeliani sembrano voler fiaccare l’economia iraniana: sono stati infatti colpiti gli impianti di greggio di Bandar Abbas e del gas di South Pars (il più grande giacimento di gas al mondo condiviso con il Qatar). Non solo, Trump ha anche ventilato la necessità di un cambio del regime iraniano attraverso la forza delle armi. Una decisione ritenuta scellerata da più parti, perché un cambio di regime non può essere spinto, come affermano gli esperti di diritto internazionale da “un braccio esterno”.

I possibili esiti e gli scenari futuri

Per capire meglio come si è arrivati a questo punto e immaginarne i possibili esiti e gli scenari futuri, secondo Alessia De Luca, giornalista e responsabile di Ispi Daily Focus, esperta di politiche statunitensi, occorre innanzitutto capire che “il presidente americano, Donald Trump con le sue decisioni sta aprendo un vulnus enorme nel diritto internazionale che già se la passava molto male. Quello degli Stati Uniti è infatti un attacco contro uno Stato sovrano. Teniamo anche conto che la comunità internazionale sta seguendo da quattro anni con apprensione la Russia che ha invaso l’Ucraina. Non si capisce dunque perché in un futuro anche prossimo la Cina non possa decidere di prendersi Taiwan. Gli Stati Uniti stanno dando il colpo di grazia a un sistema di relazioni internazionali basato su regole condivise e lo fanno con l’intento proprio di distruggere il multilateralismo, convinti che sia un sistema che li ha svantaggiati. Per Trump vale molto più la pena trattare tra pari con leader di Paesi forti, quindi sostanzialmente autocrazie”.

Per la giornalista anche la richiesta della “rinuncia al nucleare pulito è una resa che non ha nessun fondamento giuridico a livello di diritto internazionale: chi può decidere chi può avere l’energia nucleare? Gli Stati Uniti?”.

Situazioni difficili da prevedere

Lo scenario attuale si apre quindi a situazioni difficili da prevedere che, oltre alle organizzazioni mondiali e alle opinioni pubbliche, scuote il mercato degli idrocarburi. Le conseguenze degli attacchi tra i due Paesi, ed eventualmente il prolungarsi del conflitto, infatti, potrebbe portare a un fortissimo aumento del prezzo del petrolio. Per l’Europa – e ancor più per l’Italia – il rischio è diretto: quote fondamentali di “Oil & Gas” transitano proprio da lì. Ogni alterazione di quel passaggio marittimo si traduce in instabilità economica e vulnerabilità energetica. A gravare ci sono anche gli Houthi dello Yemen, filo-iraniani, che nel Mar Rosso sono specializzati in attacchi al trasporto marittimo.

Nel frattempo a sorpresa, nelle ultime ore, Trump ha annunciato il cessate il fuoco tra Israele e Iran e la pace tra dodici giorni. Ma la tregua è stata già violata perché missili iraniani sono stati avvistati a Israele. Una situazione davvero drammatica e in continua evoluzione.


Pina Travagliante
Professore ordinario di Storia del pensiero economico presso l’Università degli Studi di Catania