Sturzo e il grande merito della “Rerum Novarum” - QdS

Sturzo e il grande merito della “Rerum Novarum”

Sturzo e il grande merito della “Rerum Novarum”

Marco Vitale  |
mercoledì 06 Novembre 2024

“Rerum Novarum”, un’enciclica oggi assolutamente sottovalutata

Segue dal QdS del 30/10/2024

In primo luogo, la lettura di tante pagine coinvolgenti di Luigi Sturzo e il fatto che, a chi si complimentava con lui, Sturzo amava rispondere: “Non è farina del mio sacco”. È tutto merito della “Rerum Novarum”, un’enciclica oggi assolutamente sottovalutata, credo perché ignorata, dalla maggior parte degli economisti e dei sacerdoti. In secondo luogo, la lettura delle pagine del grande economista luterano Roepke nelle quali questo profondo studioso sottolineava la grande importanza, sul piano sociale ed economico, della Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) e in particolare la sua ammirata lettura della Mater et Magistra. Il terzo fattore di stimolo fu scoprire, frequentando l’UCID, quanto bassa fosse allora anche tra i sacerdoti la conoscenza della Dottrina Sociale della Chiesa. Ma anche come fosse prova di enorme ignoranza, di autentico clericalismo economico, che di DSC non si parlasse mai, a nessun livello, nelle facoltà di economia. Ma come, pensavo tra me, qualunque economistucolo di quarto livello merita una qualche attenzione nei nostri libri di economia; mentre ignoriamo totalmente l’evoluzione di un pensiero, comunque profondo, che ha accompagnato, con contributi importantissimi, tutta la tormentata evoluzione socio-economica del Novecento.

Abbiamo vissuto a lungo le profonde incomprensioni che ci sono state tra la Chiesa e il moderno pensiero liberale, sui temi dell’economia. Inutile negarlo. Da parte della Chiesa – nei fatti, negli atteggiamenti informali, ma mai nelle encicliche! – si è a lungo coltivata una forte preferenza per le soluzioni di impronta collettivista e socialista, ed una profonda diffidenza verso il mercato, verso l’impresa e i suoi meccanismi. Da parte dell’economia liberale si è, invece, alimentata una grossolana ignoranza della DSC ed una sorta di disprezzo intellettuale della parola della Chiesa.

Solo pochi spiriti veramente laici e liberi, come l’economista luterano Wilhelm Röpke, hanno avuto la forza morale e intellettuale di scrivere parole come queste: “Non sarebbe una cattiva idea quella di scrivere la storia economica della nostra epoca cercandone i riflessi nei messaggi che la Santa Sede ha promulgato al mondo dall’inizio dell’era industriale, per applicare la Dottrina sociale della Chiesa cristiana ai problemi posti dalla moderna società industriale. Fondamentalmente questa dottrina sociale è rappresentata da una filosofia dell’uomo e della società immutabile come lo stesso insegnamento cristiano – umano, nato dal singolare connubio della filosofia antica con il cristianesimo. È stata questa dottrina a creare le basi sulle quali si è formata la cultura occidentale e a darci quei principi che non possiamo abbandonare senza rinunciare a questa cultura: cattolici o protestanti, fedeli o agnostici, se non vogliamo macchiarci di tradimento verso il patrimonio spirituale e morale dell’Occidente, dobbiamo considerare quei principi tanto incrollabili da non poterli nemmeno discutere”.

I risultati di questo mio approccio furono molteplici: innanzi tutto, (credo per la prima e, temo, ultima volta), furono tenute numerose lezioni sulla DSC nel corso di strategia aziendale dedicate a strategie e valori d’impresa nel quarto anno in Bocconi, lezioni seguite con grande interesse da centinaia di studenti. Da queste lezioni si sviluppò una serie di pagine che “Il Sole 24 Ore” (direttore Gianni Locatelli) pubblicò dal 20 gennaio 1991 al 30 giugno 1991 dedicati all’evoluzione della DSC moderna dalla Rerum Novarum e dalla Gaudium et Spes sino alla Centesimus Annus, e poi raccolte in un apposito Dossier de “Il Sole 24 Ore” sulle Encicliche Sociali.

Continua…

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