Su Amazon Prime Video torna Borat, con un mockumentary - QdS

Su Amazon Prime Video torna Borat, con un mockumentary

Francesco Sanfilippo

Su Amazon Prime Video torna Borat, con un mockumentary

giovedì 29 Ottobre 2020

In piena pandemia, Sacha Baron Cohen reindossa la maschera comica dell'improbabile giornalista kazako, involontario esploratore dell’anima nera, oscurantista e ultraconservatrice dell’America trumpista

Regia di Jason Woliner, con Sacha Baron Cohen (Borat), Maria Bakalova (Tutar).
Usa 2020, 95’.
Distribuzione: Amazon Prime Video

In piena pandemia, Sacha Baron Cohen reindossa la maschera comica di Borat, improbabile giornalista kazako misogino e antisemita, reietto e osceno Gulliver contemporaneo, qui involontario esploratore dell’anima nera, oscurantista e ultraconservatrice dell’America trumpista. Obbligato ai lavori forzati per aver ridicolizzato il proprio paese, Borat viene nuovamente ingaggiato dal governo kazako ufficialmente per compiere una missione diplomatica: donare al vice-presidente americano Mike Pence una scimmia pornostar per ristabilire buoni rapporti tra i due paesi. Una volta giunto negli States, però, il giornalista scopre che la scimmia è morta e che al suo posto c’è Tutar, la figlia quindicenne vissuta in gabbia come un animale selvatico. Sarà lei il nuovo dono per il politico, ma prima dovrà sottoporsi ad un processo di occidentalizzazione.

Con voce fuori campo del protagonista, uso parodistico delle musiche di Bregovic e un continuo ricorso a gag visive e linguistiche più o meno fortunate, il film esibisce e decostruisce sin dalle prime battute la propria identità di finto documentario (mockumentary), innesca un assurdo intreccio fantapolitico e brandisce i grimaldelli retorici dell’allegoria e della satira per scardinare la violenza sociale e morale di una cultura – quella occidentale – evidentemente percepita come sull’orlo di una regressione medievale.

Cosa è reale? Cosa non lo è? L’impossibilità di fornire sempre una risposta a questo interrogativo crea continuo spaesamento e rende la visione a tratti inquietante, soprattutto quando le provocazioni del protagonista sembrano superare davvero ogni confine etico e di convivenza civile. Borat invia e riceve fax con minacce di morte, prova ad acquistare gabbie per esseri umani e gas per uccidere zingari, chiede che su una torta venga apposta una scritta antisemita. Si rivolge a semplici esercizi commerciali e i malcapitati, non sappiamo quanto coinvolti nella finzione narrativa, dopo un attimo di smarrimento corrispondono immediatamente e senza far troppe domande alle indecenti richieste. Rappresentazione plastica della tesi filosofica della “banalità del male”, il film ha il merito in questo senso di mostrare il confine oltre il quale un pensiero, un sentimento, un desiderio proprio o indotto finiscono per trasformarsi in azione quasi senza che si possa attribuire una responsabilità o una volontà diretta.

Evidenti, però, anche i tipici difetti da instant movie: molte gag sono oggettivamente forzate, alcune anche piuttosto volgari; i richiami finali alla pandemia e alle imminenti elezioni presidenziali sminuiscono la portata universale dell’operazione artistica; il pretesto narrativo secondo cui le riprese sono frutto del reportage di un invisibile cameraman kazako ingaggiato dal Governo non tiene nemmeno per un istante (non solo Borat e la figlia, ma nessuna persona coinvolta nel film guarda mai in macchina, e tutti agiscono come se non sapessero di essere ripresi); il rapporto padre/figlia viene tratteggiato in modo davvero infantile.

Notevole, comunque, la presenza scenica di Sacha Bahron Coen. Il film è anche – soprattutto – un’autocelebrazione della sua arte umoristica, fisica e linguistica insieme, che ad un’ostentata esibizione tecnica affianca una forte componente psicologica con la quale riesce ad intrappolare qualsiasi dialogante nell’involontario ruolo di spalla comica.

Voto: ☺☺☺☻☻

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