Dopo “Il talento del calabrone”, la produzione e distribuzione di un altro thriller italiano suggerisce l'esistenza di una strategia ben precisa da parte di Amazon Prime Video
Governance – Il prezzo del potere
Regia di Michael Zampino. Con Massimo Popolizio (Renzo Petrucci), Vinicio Marchioni (Michele Laudato), Sarah Denys (Viviane Parisi)
Italia 2020, 89’.
Distribuzione: Amazon Prime Video
Dopo “Il talento del calabrone”, la produzione e distribuzione di un altro thriller italiano suggerisce l’esistenza di una strategia ben precisa da parte di Amazon Prime Video. Molte infatti le analogie tra i due titoli: registi formati artisticamente negli Stati Uniti e ben lontani da pretese autoriali; presenza di attori di grande esperienza e carisma per il ruolo di protagonista (lì Castellitto, qui Popolizio), di comprimari giovani ma già popolari (Richelmy/Marchioni) e di donne caparbie a recitare il controcanto investigativo; ambientazione metropolitana (lì Milano, qui Roma); pedissequa osservazione dei codici del genere; durata sotto i 90 minuti.
Siamo in presenza di un format? Presto per dirlo, come pure potrebbe essere prematura la conseguente considerazione che lo streaming stia lentamente ma inesorabilmente (e in maniera volontaria) trascinando il linguaggio cinematografico verso la semplificazione tipica della fiction tv (anche seriale, a parte casi isolati). Ma l’esempio offerto dalla pletora di teen movies Netflix rappresenta già un emblematico precedente che rimanda a modelli produttivi noti, tipici dell’età classica del cinema americano.
Andando più dettagliatamente al film, comunque, Governance pone al centro di un intreccio piuttosto convenzionale il manager di una società petrolifera che, posto ai margini dell’azienda per via di un’inchiesta giudiziaria a suo carico, non controlla la propria carica vendicativa provocando un evento luttuoso di cui dovrà seppellire ogni singola prova.
Dialoghi affettati, personaggi bidimensionali, mazzette e cannibalismo professionale come da stereotipo del thriller aziendale. La sceneggiatura cerca forza nelle motivazioni del protagonista e nell’osservanza di ferree regole strutturali, ma incappa in incoerenze macroscopiche, tra tutte l’inverosimile amicizia dell’imprenditore con un ex galeotto che – guarda caso – capiterà nell’auto del boss proprio la notte del misfatto.
Per nulla controllata l’interpretazione di Popolizio che denota la mancanza di autorevolezza dietro la macchina da presa. Anche le pur interessanti inquadrature allo specchio, che raffigurano il protagonista nell’atto di una trasformazione malvagia e propongono riflessioni sul tema dell’identità, non sembrano trovare alcuna incidenza specifica, rimanendo un tratto – più grafico che filosofico – fine a se stesso.
Voto: ☺1/2☻☻☻