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Le “super lenti” tutte italiane svelano i misteri dello spazio

redazione

Le “super lenti” tutte italiane svelano i misteri dello spazio

martedì 01 Novembre 2022

Installate a bordo del satellite Ixpe fanno luce su buchi neri e galassie. L’Asi: “Utili per studiare sia regioni piccole come il Sistema Solare che estese come la Via Lattea”

Svelati nuovi misteri sui buchi neri super massicci e sulle galassie grazie alle super lenti italiane installate a bordo del satellite Ixpe. L’Agenzia Spaziale Italiana ha annunciato che “grazie ai polarimetri operanti nei raggi X a bordo del satellite Ixpe forniti dall’Italia è stato infatti possibile studiare sia regioni piccole come il Sistema Solare che estese quanto la Via Lattea” e che il satellite Ixpe-Imaging X-ray Polarimetry Explorer – lanciato a dicembre scorso dal Kennedy Space Center, in Florida, e frutto della collaborazione tra Asi e Nasa – ha osservato a maggio le galassie Mrk 421 e Mcg-05-23-16. I risultati degli studi sulle due galassie sono stati pubblicati sulle riviste The Astrophysical Journal e Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Le due galassie osservate ospitano al loro centro buchi neri super massicci con masse di 2 milioni e di 20 milioni di volte la massa del Sole rispettivamente e rappresentano due laboratori astrofisici fondamentali per studiare in luce polarizzata processi di emissione che avvengono su scale spaziali molto diverse. Mrk 421, ad una distanza di circa 430 milioni di anni luce, è uno tra i blazar più vicini alla Terra e più luminoso nei raggi X. La sua gemella più tranquilla, priva di getti relativistici, è MCG-05-23-16 ad una distanza di 120 milioni di anni luce da noi. In questa galassia è possibile lo studio delle regioni più interne del nucleo, fino a qualche centinaio di milioni di chilometri dal buco nero centrale.

Ixpe ha guardato con le sue lenti di ingrandimento polarizzate le due sorgenti per diversi giorni, misurando la quantità di luce polarizzata nei raggi X. Gli scienziati coinvolti nello studio spiegano che questa informazione, insieme con l’angolo nel cielo dell’emissione polarizzata, ha permesso ai ricercatori di escludere diverse geometrie della corona in Mcg-05-23-16 e di capire che è lo shock che le particelle subiscono in regioni di intenso campo magnetico ad accelerare le particelle nel getto di Mrk 421. Mentre il primo fenomeno avviene su scale spaziali confrontabili con quelle del nostro Sistema Solare, il getto di Mrk 421 si estende fino a migliaia di anni luce, aggiungono i ricercatori. Andrea Marinucci, ricercatore Asi e primo autore dell’articolo, ha spiegato che la galassia “Mcg-05-23-16 è una sorgente già conosciuta in passato per aver mostrato una forte interazione tra il suo disco di accrescimento e la corona di elettroni caldi che lo circondano”.

Oggi, continua Marinucci, “grazie alle nuove osservazioni simultanee ottenute con Ixpe, Xmm-Newton e NuStar, siamo stati in grado di meglio comprendere la geometria di questo materiale, responsabile della forte emissione X della sorgente”. Marinucci riferisce che “racchiusa in una regione di spazio confrontabile con la distanza che intercorre tra il Sole e Saturno, questa nuvola di elettroni caldi assume probabilmente una forma con elevata simmetria sferica intorno al buco nero centrale”.

“Abbiamo appena iniziato a guardare i getti dei buchi neri super massicci con Ixpe e già stiamo capendo meglio come le particelle raggiungono velocità così estreme” commenta Laura Di Gesu, prima autrice Asi dell’articolo dedicato a Mrk 421. “Questo perché – prosegue la scienziata – la luce X è emessa proprio dalle particelle più energetiche, che sono state appena accelerate. In futuro, studieremo anche come la luce X polarizzata cambia di intensità e caratteristiche in poche ore o da un giorno all’altro. Questo ci permetterà di capire se il getto è un flusso di particelle ordinato o, per esempio, turbolento”. Di Gesu evidenzia inoltre che “i getti sono un elemento distintivo dei buchi neri super massicci ma a volte non sono presenti e non sappiamo esattamente perché. Studiare come funzionano i getti ci aiuta anche ad immaginare come possano evolvere nel tempo e se galassie come Mrk 421 sono state in passato o diventeranno in futuro più tranquille, come Mcg-05-23-16”.

La scienziata Imma Donnarumma, Project Scientist dell’Asi, indica che “lo studio di queste due galassie e i risultati ottenuti confermano come la polarimetria nei raggi X sia uno strumento fondamentale per comprendere sia i processi fisici che la geometria di diverse classi di sorgenti astrofisiche. Le osservazioni di Ixpe, in sinergia con quelle di altre missioni spaziali in orbita e dei telescopi da Terra, aggiungono un nuovo tassello alla comprensione dell’Universo estremo, stimolando nuove teorie, nuove osservazioni e, perché no, nuove missioni spaziali”.

“Tentiamo di fare misure di questo tipo da oltre quarant’anni e allora era con uno strumento costruito e calibrato in collaborazione con scienziati statunitensi e dell’Unione Sovietica” ricorda Paolo Soffitta dell’Inaf di Roma, coordinatore Italiano del progetto Ixpe, sottolineando che “da allora ci siamo migliorati, ideando, sviluppando e calibrando completamente in Italia uno strumento ben più sensibile e capace di studiare anche le deboli sorgenti che brillano al di fuori della nostra galassia, e con tenacia l’abbiamo proposto ben 13 volte alle agenzie spaziali di mezzo mondo. Ora Ixpe è una realtà, sta dando risultati oltre le aspettative e ci aspettiamo ancora nuove importanti scoperte nel prossimo futuro”.

Luca Baldini, responsabile nazionale Infn per Ixpe e co-Pi della missione, evidenzia che “si tratta del coronamento di un’attività di ricerca e sviluppo più che ventennale, che ci ha portato a trasformare i primi prototipi di laboratorio di rivelatori a gas sensibili alla polarizzazione in una tecnologia solida ed affidabile. Queste misure ci ripagano pienamente degli sforzi fatti per portare a compimento lo sviluppo della missione entro i vincoli, temporali e tecnologici, estremamente aggressivi imposti dal programma”.

Dall’ottico ai raggi X, ecco il ritratto di un “gigante ribelle” luminosissimo

Già conosciuto agli addetti ai lavori per la sua altissima luminosità, il quasar Rbs 1055 è stato osservato nel marzo 2021 per circa una settimana con il telescopio spaziale della Nasa NuStar. Uno sguardo alla sorgente è arrivato nello stesso periodo anche con il telescopio ottico di Monte Palomar, negli Stati Uniti. Il lavoro ha sfruttato anche i dati di archivio raccolti nel 2014 dal satellite dell’ESA XMM-Newton. A studiare in dettaglio questo mostro cosmico è stato Andrea Marinucci, ricercatore dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), che ha coordinato il team internazionale di cui fanno parte anche colleghe e colleghi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e delle Università di Roma Tre e Bologna.

“Ancora una volta i satelliti XMM-Newton e NuStar ci hanno permesso di sbirciare nelle regioni più interne di questi giganti del cielo. Grazie ai lunghi tempi di osservazione siamo riusciti a misurare la temperatura del plasma di elettroni responsabile dell’alta luminosità X vicino al buco nero e le proprietà del gas neutro a distanze molto maggiori” dice Andrea Marinucci, primo autore dell’articolo su RBS 1055.

Situato a 6 miliardi di anni luce dalla Terra, il quasar Rbs 1055 ospita un buco nero di massa 650 milioni di volte quella del Sole. Per misurare la massa sono state sfruttate le osservazioni ottiche delle emissioni di idrogeno provenienti dalla regione di gas orbitante attorno al buco nero e distante da esso circa 100 giorni luce, misurandone la velocità” commenta Giustina Vietri dell’Inaf di Roma, seconda autrice dell’articolo che descrive lo studio. “Questo buco nero inoltre fagocita ogni anno una quantità di materia pari a quella del Sole. In generale rappresenta un oggetto unico per studiare i processi fisici che danno origine all’emissione X a queste distanze”.

Lo studio conferma la natura ‘ribelle’ di questo gigante, che ha una luminosità nei raggi X tra 10 e 15 volte superiore a quella osservata in sorgenti simili: Rbs 1055 presenta delle proprietà tipiche di quasar molto più vicini e giovani, che solitamente non vengono riscontrate, per insufficienza o scarsità di dati in banda X, in analoghi oggetti celesti situati a distanze comparabili ad esso o maggiori. Secondo il gruppo di ricerca, i dati Xmm e NuStar mostrano come il modello teorico ‘a due corone’ che descrive l’emissione della radiazione elettromagnetica di un quasar sia in ottimo accordo con le osservazioni nei raggi X di Rbs 1055.

Questo scenario fisico prevede la presenza due nuvole composte principalmente da elettroni – chiamate per l’appunto corone – distribuite sopra il disco di accrescimento, attorno al buco nero centrale. Quella più calda, con una temperatura misurata pari a circa 350 milioni di gradi Celsius, è all’origine della gran parte dei fotoni rivelati nella banda X. Quella più fredda invece, con una temperatura di circa un milione e mezzo di gradi Celsius è responsabile dell’emissione ultravioletta e nella banda X “soffice”.

Osservazioni future nei raggi X di altre sorgenti a queste distanze ci diranno se il quasar Rbs 1055 è un ribelle solitario o se è in buona compagnia di altri giganti del cielo.

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