PALERMO – È una scuola sempre più ridimensionata quella che viene fuori dalle ultime mosse del Governo. Se, nella scorsa manovra era già stato previsto un taglio di oltre 600 cattedre solo in Sicilia e un saldo negativo di 5.660 su base nazionale per l’anno scolastico 2025/2026, nel disegno di legge che dovrà essere votato dalle Camere sono previste nuove riduzioni delle risorse destinate al ministero dell’Istruzione, nella misura di 53 milioni di euro in tre anni per la spesa corrente e addirittura di quasi 570 milioni (sempre nel prossimo triennio) per quanto riguarda gli investimenti, con la sforbiciata più netta che concerne l’edilizia scolastica e la sicurezza delle scuole (circa 475 milioni).
Nel 2004 spesi solo il 3,9% del Pil in istruzione
Il ridimensionamento delle istituzioni scolastiche in Italia appare un moto progressivo (anche se, va detto, collegato a doppio filo con l’inverno demografico che sta vivendo il Paese). Come racconta l’Oecd, l’organizzazione internazionale attiva da oltre sessant’anni per divulgare le best practice dei singoli paesi a livello politico, economico e di istruzione nel rapporto Education at a Glance 2025, nel 2023 e nel 2024 l’Italia ha speso per l’istruzione primaria-terziaria solo il 3,9% del Pil in istruzione: peggio di noi, in Europa, solo Bulgaria, Grecia, Romania e Irlanda. La media europea si attesta al 4,7%.
Stanziati 750 milioni per le scuole paritarie
A fronte di questa contrazione del pubblico, lo scorso febbraio il Ministero dell’Istruzione ha annunciato la firma dei decreti che prevedono lo stanziamento di oltre 750 milioni di euro alle scuole paritarie, istituzioni non statali accreditate come “paritarie” e integrate nel sistema nazionale d’istruzione. Una mossa, secondo il Governo, utile a “garantire a tutti gli studenti l’opportunità di una formazione di qualità”. Di questi, oltre 500 milioni di euro sono stati destinati a tutte le Scuole paritarie; 163 milioni e 400mila euro per il sostegno agli studenti con disabilità (+50 milioni di euro sul 2024); 90 milioni riservati alle Scuole dell’infanzia. I fondi sono stati assegnati attraverso decreti ministeriali con criteri e parametri pubblici (DM 17/2025 e correlati).
I criteri ministeriali per l’assegnazione dei contributi
Il meccanismo di assegnazione dei contributi prevede criteri ministeriali dettagliati: riparto per regioni in base al numero di sedi, di classi/sezioni e di alunni; specifiche quote per il sostegno degli studenti con disabilità; fondi dedicati alle scuole dell’infanzia paritarie. Il rapporto tra spesa pubblica e Pil non è una formula astratta: definisce la capacità dello Stato di garantire infrastrutture scolastiche adeguate, tempi scuola sostenuti, sostegno agli alunni in difficoltà, docenti e personale amministrativo in numero sufficiente. Un valore basso del rapporto implicato significa inevitabilmente scelte di priorità dove l’istruzione riceve risorse più limitate rispetto ad altri capitoli di spesa pubblica.
Ingenti risorse dunque per i soggetti privati
Se ingenti risorse confluiscono dunque in direzione dei soggetti privati, le scuole statali devono invece fare i conti con risorse pubbliche complessive limitate, organici ridotti e contingenze amministrative stringenti. Tutto questo produce una contrazione del numero di supplenze, stabilizzazioni e possibilità di immissione in ruolo. Tradotto: aumento del numero dei precari della scuola. Senza inserire nel calderone il crollo negli investimenti strutturali per la rete pubblica dovuti anche all’ingente calo demografico che, secondo stime dei sindacati, porta la Sicilia a perdere ogni anno una media di circa 10.000 studenti (da intendersi come il saldo tra chi termina il proprio percorso di studi e non è sostituito tra i banchi di scuola da nuovi iscritti).
Il dimensionamento della rete scolastica siciliana
Questo conduce all’altro lato della medaglia: il dimensionamento della rete scolastica dipendente da accorpamenti, soppressioni di istituti, demansionamenti, messo in moto da criteri nazionali (Decreto Interministeriale n.127/2023) e declinato a livello regionale. I numeri per la Regione sono chiari: gli ultimi due demansionamenti scolastici hanno prodotto la chiusura di sedi/accorpamenti/perdita di autonomia di 75 istituti nell’anno scolastico 2024/2025 e di 23 ulteriori istituti nell’anno in corso (D.A. n.2690 (atto del 23/12/2024).
Quanti posti pubblici persi con il taglio di 603 cattedre
Ma quanti posti pubblici sono stati “persi” nell’Isola tra docenti, personale Ata, direttori dei servizi generali e amministrativi? Il Decreto interministeriale n.127/2023 ha determinato i contingenti organici per i DS e i DSGA per il triennio 2024/25-2026/27. Per la Sicilia il contingente assegnato è stato fissato in 710 unità (con una lieve decrescita programmata fino a 700 nel triennio). Per l’organico docente, la situazione è più critica: con il taglio di 603 cattedre, la Regione è una delle più penalizzate a livello nazionale. Le punte di maggiore erosione sono presenti nei territori a calo demografico e con più alta concentrazione di supplenze. Se Palermo e Catania sono le province più penalizzate, ben 75 cattedre sono state tagliate nella sola provincia di Trapani. E nessuna buona notizia è prevista neppure per il personale Ata, che andrà incontro a un ridimensionamento di 2.174 unità su base nazionale a partire dal prossimo anno scolastico. Tradotto: classi più numerose con meno docenti disponibili, riduzione delle attività opzionali e extracurricolari, peggioramento delle prospettive di stabilizzazione per i precari (attesissimo il prossimo concorso indetto con fondi Pnrr), inferiori possibilità di rientro in Sicilia di docenti assegnati in province del Nord Italia.
I sindacati protestano
La contestazione è trasversale. I sindacati (Flc-Cgil, Cisl scuola, Uil scuola) hanno lanciato allarmi e mobilitazioni, sottolineando che la decrescita degli organici – corrispondente all’11 per cento su base nazionale – non tiene conto degli effetti sulla qualità didattica, sulla precarietà e sul sostegno agli alunni più vulnerabili. Le associazioni di genitori e le consulte studentesche puntano il dito contro una politica che scarica sui territori la gestione dell’emergenza demografica con tagli lineari.
L’assessorato regionale all’Istruzione ha difeso le scelte operative, sottolineando che il dimensionamento e gli accorpamenti sono stati fatti in applicazione di norme nazionali e con l’obiettivo dichiarato di salvaguardare i piccoli presidi nelle aree montane e nei contesti a rischio di dispersione. Nei comunicati ufficiali la Regione ha ricordato che, nelle scelte, si è tentato di privilegiare il mantenimento di presidi in territorio fragile e che le operazioni sono subordinate alla verifica delle condizioni (locali, logistiche e di organico).
Una narrazione ufficiale che cozza con la crescente disponibilità di fondi per le scuole paritarie, con contributi ministeriali ripartiti dagli Uffici scolastici regionali. Qui le regole di riparto avvantaggiano zone con più scuole paritarie già presenti (tipicamente i centri urbani) e lasciano indietro aree interne. Con un trend si tradurrà in ulteriore spopolamento e maggiori disagi per gli abitanti delle aree periferiche.
La realtà del mondo della scuola in Sicilia continua a raccontare di accorpamenti che obbligano i ragazzi a percorrere chilometri in più, costringendo i genitori a spese maggiori per i trasporti. Ma anche scuole con ore di insegnamento ridotte per mancanza di personale: si pensi ai casi delle Isole Eolie, con aule condivise da ragazzi di età differente e frequentati classi diverse. Con un futuro, in questo caso, appeso anche al trasporto pubblico penalizzato dalle condizioni meteomarine avverse nei periodi invernali.
Adriano Rizza (Cgil): “Ridurre il numero degli alunni per classe”
PALERMO – “La crisi del sistema d’istruzione nel nostro Paese è il risultato di scelte politiche ed economiche che hanno prodotto effetti particolarmente negativi nel Mezzogiorno. In regioni come la Sicilia – già in forte sofferenza per fenomeni come la dispersione scolastica, che raggiunge punte del 25%, e una crescente povertà educativa – le disuguaglianze tra gli studenti del Sud e quelli del Nord continuano ad ampliarsi”. A dirlo al QdS è Adriano Rizza, segretario generale Flc Cgil Sicilia. Un quadro che peggiore in seguito “alla decisione del Governo nazionale di ridurre del 10% il numero delle autonomie scolastiche in tutto il Paese. Una misura dettata esclusivamente da logiche di risparmio (circa 88 milioni di euro), inserita in una recente legge di bilancio”.
Al contempo, il Governo destina però addirittura oltre 750 milioni di euro alle scuole paritarie. “Una scelta che il Governo regionale siciliano ha avallato, riducendo le scuole dell’Isola di circa 100 unità: da 802 a 705 istituzioni scolastiche nell’anno scolastico in corso”. Le conseguenze sono inevitabili per il mondo della scuola e la conseguente crescita del precariato. “Si tratta della perdita di posti di lavoro non solo per le figure apicali (Dirigenti scolastici e Direttori S.G.A.), ma anche per personale docente e Ata, con un inevitabile peggioramento della qualità dell’insegnamento”, aggiunge il numero uno del sindacato. A essere colpite sono soprattutto le aree interne e i territori più svantaggiati, quelli che in Sicilia sono già “vittime” di un inevitabile crollo demografico. Dove i “già poveri servizi essenziali aggravano le disuguaglianze territoriali e sociali”.
“Per l’anno scolastico in corso – spiega Rizza – a livello nazionale si registra un taglio di 5.660 cattedre e di 2.174 posti di personale ATA. La Sicilia, che perde mediamente 10.000 alunni all’anno, rappresenta da sola l’11% di questo calo: ciò si traduce in 603 posti di docenza in meno solo per quest’anno”. Le soluzioni, in assenza di un trend di investimento inversamente proporzionale, latitano. Secondo la Cgil, sarebbe necessario “ridurre il numero di alunni per classe, stabilizzare il personale precario e garantire stipendi dignitosi a chi lavora nella scuola. Ma per farlo servono risorse, investimenti veri e una visione diversa da quella del Governo Meloni”.
In questo contesto, il Governo “non solo si continua a incrementare i finanziamenti destinati alle scuole private/paritarie, ma si prevede anche di portare dal 2 al 5% del Pil le spese militari. Una prospettiva – conclude il sindacalista – che non lascia molte speranze per il miglioramento della scuola pubblica e del futuro delle nuove generazioni”.

