Milano, 12 dic. (askanews) – A Tahiti i segni accompagnano la vita quotidiana. Compaiono sulla pelle tatuata, nelle sculture di pietra, nei teli di tapa stesi ad asciugare. Ritornano nei gesti, nei materiali, nei racconti tramandati. È un lato delle isole che emerge con più forza quando si smette di guardare solo il mare e si comincia ad ascoltare ciò che viene custodito.
Tra le conoscenze che continuano a essere trasmesse c’è anche quella della navigazione tradizionale, fondamentale per comprendere la storia dell’esplorazione del Pacifico e i contatti tra le popolazioni dell’area. Un sapere antico che oggi rientra nel più ampio lavoro di valorizzazione culturale portato avanti dalle comunità locali e dalle istituzioni, insieme alle arti, alla danza, alla musica e all’artigianato.
Il tatau attraversa la storia delle isole da oltre duemila anni. Da qui deriva la parola “tatuaggio”. I segni incisi sulla pelle indicavano l’isola di provenienza, la famiglia, il ruolo nella comunità, i passaggi della vita. Anche la posizione sul corpo aveva un valore preciso, legato a una visione simbolica che teneva insieme dimensione spirituale e quotidiana. In quel gesto si concentrava il Mana, l’energia vitale che secondo la tradizione attraversa persone, natura e mare, e che ancora oggi viene percepita come parte dell’esperienza del viaggio.
La scultura e il tapa raccontano lo stesso legame con il territorio. Legno, pietra lavica, madreperla e osso vengono lavorati per dare forma a figure legate all’oceano e alla mitologia polinesiana. I tiki, con i loro grandi occhi a mandorla, rimandano al mondo degli antenati e alla conoscenza. Il tapa, ricavato dalla corteccia di alberi come il gelso carta o l’albero del pane, nasce da un lavoro lungo e collettivo, storicamente affidato alle donne, e viene decorato con pigmenti naturali e motivi ispirati all’ambiente.
Questo patrimonio culturale entra sempre più spesso anche nel racconto turistico delle isole. L’attenzione alla sostenibilità riguarda l’ambiente, ma anche la dimensione emotiva e culturale del viaggio. Festival come quello delle Marchesi o l’Heiva di Tahiti diventano occasioni per avvicinarsi a canto, danza e ritualità locali, mentre molte guest house e resort propongono esperienze legate alla cucina, all’artigianato, all’intaglio del legno e all’intreccio.
Il turismo si orienta così verso itinerari più lenti e meno affollati. Le Marchesi, a lungo frequentate da pochi viaggiatori, attirano chi cerca un contatto più diretto con l’identità delle isole. Le crociere e i catamarani, spesso su imbarcazioni di dimensioni ridotte, permettono di leggere il Pacifico dal mare, seguendo rotte che aiutano a comprenderne l’essenza. A Tahiti e Moorea cresce invece la permanenza media, con viaggi on the road verso l’interno delle isole, tra piantagioni, distillerie, sentieri di trekking e cascate.
Accanto al mare restano centrali anche altri elementi identitari: le perle, la cosmesi naturale, il verde dell’interno montuoso, la presenza di percorsi per l’hiking, il surf, il diving e l’osservazione delle balene. Un’offerta che si declina su più livelli, dalle guest house alle ville, dai lodge immersi nella natura alle strutture di fascia alta, con un segmento di lusso che continua a trovare spazio, anche nel mondo dei viaggi di nozze a Bora Bora.
Il lavoro di promozione passa sempre più dal racconto. Formazione per gli agenti di viaggio, eventi sul territorio italiano, collaborazioni culturali, fotografia, letteratura di viaggio e attività dedicate al pubblico finale rispondono a una richiesta emersa con chiarezza: capire di più, andare più a fondo, avvicinarsi alle radici. Andare a Tahiti significa spesso rallentare, restare, osservare. Un viaggio che cambia ritmo e che, per molti, diventa trasformativo.
A Tahiti i segni contano. Sulla pelle tatuata, nella pietra dei tiki, nei teli di tapa. Raccontano storie antiche che continuano a circolare, accanto al mare che tutti conoscono.

