In Italia un ristretto numero di contribuenti paga più di tre quarti del totale delle tasse versate all’Erario. Il resto, appena un quarto, viene corrisposto dagli altri. Sembra poco credibile eppure è così, come dimostra uno studio del Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali e della Cida, la Confederazione italiana dei dirigenti e delle alte professionalità. Lo stesso studio sostiene che quasi la metà dei cittadini del nostro Paese vive con meno di diecimila euro lordi l’anno.
Certo, è giusto, e persino ovvio, aiutare chi si trova in difficoltà, ma da queste cifre appare evidente che in giro pare ci sia troppa gente che pensa di essere furba. Per essere più precisi, il 43,15% degli italiani non ha redditi e quindi vive a carico di qualcuno, mentre oltre il 78% di tutto il gettito Irpef è concentrato su 11,6 milioni di contribuenti, che rappresenta poco più di un quarto del totale. Dalla rielaborazione dei dati, effettuata dal ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’Agenzia delle Entrate, emerge infatti che, nel 2024, su una popolazione di 58.997.201 cittadini residenti sono stati 42.570.078 quanti hanno presentato una dichiarazione dei redditi (con riferimento all’anno di imposta precedente). A versare almeno 1 euro di Irpef, però, sono stati solo 33.540.428 residenti, vale a dire poco più della metà degli italiani. A ogni contribuente corrispondono quindi 1,386 abitanti.
Spesso ci sentiamo dire che il nostro Paese sia schiacciato dalle tasse ma la situazione, secondo lo studio di cui si è detto, appare molto più complessa dato che il problema non è che tutti paghino troppo, ma che non siano tutti a pagare. Quasi un cittadino su due non versa nemmeno un euro di Irpef, e così poco più di un quarto dei contribuenti si fa carico da solo di quasi l’80% dell’imposta. Questo evidente squilibrio tartassa il ceto medio, scoraggia chi vuole investire, demoralizza i giovani e mette a rischio il futuro del Paese, rischiando di vanificare gli sforzi ed i sacrifici che si stanno facendo.
C’è un altro argomento che però non può essere né taciuto, né sottovalutato, un argomento che conferma il fatto che il nostro è un Paese che cambia con lentezza e con difficoltà perché non riesce né a varare riforme di sistema, né ad eliminare gli sprechi e le ridondanze organizzative e finanziarie. Negare il nesso esistente tra riforme, gettito fiscale, equità e contenimento della spesa, attraverso una reale e profonda spending review, significa infatti negare i presupposti per riuscire nel risultato di costruire uno Stato capace di funzionare meglio e soprattutto di far vivere meglio i cittadini spendendo e costando di meno.
Tecnicamente, le tasse sono prestazioni pecuniarie, dovute a un ente pubblico: lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, nella misura stabilita dalla legge, per un servizio pubblico divisibile reso dall’ente stesso all’obbligato che paga. La tassa è un’imposta attribuita ai cittadini o ai beni di loro proprietà per sostenere economicamente il governo. Ogni volta che se ne prospetta l’introduzione di una nuova, la gente è pronta a scendere in piazza per protestare. Non a caso uno degli argomenti più dibattuti in politica ed usati per ammaliare le folle soprattutto durante le campagne elettorali, è l’abbassamento delle tasse.
Pochi però, si preoccupano di verificare come fare, attraverso quali tagli e soprattutto attraverso quali riforme riuscire nell’intento, dato che ogni riforma, soprattutto quelle che determinano modificazioni organizzative nell’ambito dell’amministrazione pubblica, incidono su modelli incancreniti, su comode rendite di posizioni, oppure determinano l’insorgere di responsabilità, un termine, quest’ultimo, che risulta tossico per la burocrazia, che vuole potere, ma non vuole ciò che ne deriva.
In una tale situazione in cui a pagare sono pochi, a evadere molti e a rispondere solo alcuni, appare davvero difficile non solo ridurre le tasse, come si promette ad ogni campagna elettorale, ma anche a ridurre le spese del Paese senza migliorare i servizi resi, trasformando le tasse, a cui dovrebbero corrispondere delle prestazioni di livello, in medievali balzelli in mano a degli incapaci.

