TAORMINA (ME) – La notizia del fallimento economico del Comune, Perla dello Ionio e capitale del turismo siciliano, ha conquistato nei giorni scorsi i titoli dei giornali. Scaturita da un annuncio fatto dal sindaco, Mario Bolognari, sull’opportunità di “dichiarare il dissesto finanziario nei prossimi venti giorni”, a seguito della bocciatura del Piano di riequilibrio sentenziata dalla Corte dei Conti, lo scorso 25 maggio.
Anche il QdS ne aveva dato notizia, ricordando l’opzione – in teoria ancora valida fino al 22 luglio – da parte del Comune di poter opporre ricorso a tale decisione. Dai primi dibattimenti in Giunta e in Consiglio comunale sembra emersa, però, la decisione di non presentare alcun appello, accettare il verdetto e decidere così, come detto dal primo cittadino, di dichiarare il default per “chiudere definitivamente i conti col passato”.
In realtà, analizzando le motivazioni date dai Giudici contabili sul Piano di riequilibrio, è possibile comprendere meglio i fatti, che non si possono enunciare come un fallimento fine a sé stesso. Si tratta infatti, di una vicenda che parte da lontano e che riguarda una pluriennale difficoltà da parte del Comune di ripianare i propri debiti. Già nel 2013 c’era stato un primo tentativo di stilare un Piano di rientro per evitare il dissesto, poi ripetuto nel 2016 senza grossi risultati. Per arrivare infine, all’approvazione del Piano di riequilibrio, adesso oggetto di discussione, nel febbraio del 2018 durante la passata legislatura.
Un Piano che si scopre soltanto oggi – con le prime valutazioni della Corte arrivate lo scorso novembre – non idoneo a sostenere la mole debitoria di Palazzo dei Giurati. In esso infatti, erano stati calcolati debiti fuori bilancio per 18,4 milioni di euro (di cui 11,8 risalenti addirittura a prima del 2001), salvo poi scoprire che i calcoli fatti erano sbagliati, perché se ne sarebbero dovuti aggiungere altri 2 milioni e mezzo, rimasti al di fuori del Piano e per i quali risulta impossibile trovare adesso la copertura.
È quello che lo stesso sindaco ha chiamato “operazione verità”, perché alcune cifre erano sottostimate mentre altre sono emerse in seguito con la scoperta di nuovi debiti. Insomma, nessuno dei precedenti Piani era stato all’altezza di far corrispondere i reali debiti. Nessuno degli accordi transattivi proposti aveva trovato adesione da parte dei creditori. Inoltre, dei 18 milioni dichiarati, si prevedeva di coprirne 11 con un mutuo della Cassa depositi e prestiti, che in realtà non può coprire spese correnti, come specificato dalla Corte, insieme all’incerta quantificazione dell’indebitamento con le società partecipate, come l’Azienda servizi municipalizzati e il Consorzio rete fognante. Insomma una serie di criticità che hanno indirizzato i giudici verso la bocciatura finale.
Un circolo vizioso decennale, dal quale Taormina ha deciso di uscire. E l’unica via per non ricaderci sembra appunto quella di dichiarare dissesto. “È una scelta che ci addolora, ma a questo punto è inevitabile”, ha detto Bolognari, rassicurando la cittadinanza sul fatto che il dissesto, pur comportando sacrifici, non rappresenti nulla di irreparabile. Il rischio di un ulteriore aumento dei tributi locali sarebbe scongiurato dal fatto che già da tempo la città applica le aliquote più alte, l’ordinario svolgimento dei servizi non accuserebbe turbamenti e il pagamento degli stipendi continuerebbe a essere garantito.
Cosa succederà adesso? Toccherà al Consiglio comunale in carica dichiarare il dissesto entro fine luglio. Questo non comporterà il decadimento dell’Amministrazione, al contrario sindaco, assessori e consiglieri continueranno a rimanere in carica per la gestione ordinaria. Il ministero dell’Interno nominerà invece tre commissari, che dovranno occuparsi di estinguere la situazione debitoria risultante fino al 31 dicembre del 2020.
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