PALERMO – C’è chi storce il naso solo a sentirla nominare. La Tari, tassa sui rifiuti solidi urbani, è probabilmente l’imposta più odiata dai contribuenti italiani. Un’avversione che deriva da diversi fattori, tra i quali gli alti costi che le famiglie sono costrette a sostenere, un servizio non sempre efficiente e la percezione di essere costretti a pagare un obolo fondato su una disparità di base.
I cittadini non pagano per i rifiuti che producono, ma principalmente sulla base dei metri quadrati della loro abitazione. Ciò significa che una famiglia numerosa, ma con un reddito basso, potrebbe ritrovarsi a pagare di più rispetto a un nucleo composto da due o tre persone, ma con un reddito più elevato.
Questo comporta un’evidente iniquità dell’imposta, tanto che la Banca d’Italia, qualche anno fa, la definì “un’imposta patrimoniale, con effetti redistributivi però peculiari poiché la tassa dipende solo dalla dimensione e non dal valore dell’immobile” e inoltre “il prelievo non discrimina adeguatamente fra famiglie in base alla produzione di rifiuti”. Per questo Palazzo Koch auspicava “una riconfigurazione in chiave tariffaria…

