Regime forfettario “dimenticato”, il tetto doveva essere portato da 65mila a 100mila €. L’auspicio è che una modifica del sistema possa trovare spazio nei decreti delegati
ROMA – Come è noto, attualmente è previsto un sistema di applicazione delle imposte dirette e dell’Iva in modo “forfettario”, quello previsto dalla Legge n.190 del 23 dicembre 2014 modificata dalla Legge di stabilità per il 2015 e dalla Legge di bilancio per il 2020.
Parliamo sostanzialmente della “flat tax” per le imprese.
La citata disposizione, ai commi 54 e seguenti dell’articolo 1, aboliti i regimi dei “minimi” e delle “nuove iniziative”, mantenendo comunque il regime per le imprese “startup” per i primi cinque anni di attività, ha introdotto un nuovo sistema forfettario per i contribuenti di modeste dimensioni, destinato esclusivamente alle persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti e professioni (in pratica alle “partite Iva”).
Con le modifiche introdotte a partire dal 1^ gennaio 2019 tale regime forfettario ha subito numerose positive modifiche, principalmente con l’introduzione di un limite unico (di ricavi o compensi), non legato all’attività svolta, ma fissato in Euro 65.000 (ragguagliato ad anno) e con l’eliminazione di alcuni “paletti” che in precedenza ne limitavano il campo di applicazione. Era previsto anche l’innalzamento a 100.000 Euro a partire dal 1^ gennaio 2021 della soglia di applicabilità del particolare sistema di tassazione.
Tuttavia, con le disposizioni contenute nella legge di Bilancio per il 2020, il Legislatore è tornato sui suoi passi, non solo reintroducendo alcuni dei paletti che ne impediscono l’applicazione, ma ha eliminato la norma che prevedeva l’innalzamento del limite a 100.000 Euro, limite il quale, pertanto, continua a rimanere 65.000 Euro.
Eppure, da parte di molte forze politiche e da parte di moltissimi addetti ai lavori, l’esistenza di un regime forfettario, semplice da applicare, è stato ritenuto uno dei modi più efficaci per aumentare l’adesione spontanea e ridurre l’evasione.
Si auspicava, in particolare, l’ampliamento del limite dagli attuali 65.000 Euro ad almeno 100.000 Euro.
Fino ad ora, però, nulla si è mosso. Anzi, si parla di eliminare l’attuale semplificazione dei forfettari che consiste nella possibilità di non emettere la fattura elettronica.
Ora, però, siamo in pieno clima di riforme fiscali. Ed in questa occasione, si pensava che un’apertura ai forfettari ci sarebbe stata.
Invece, nello schema di delega fiscale approvata lo scorso 5 ottobre dal Consiglio dei Ministri, di regime forfettario non se ne parla assolutamente.
Eppure la Commissione Finanze della Camera, in un documento dello scorso 30 giugno aveva previsto espressamente la flat tax, seppure con alcune aggiustamenti come quelli riguardanti i coefficienti di redditività.
Probabilmente il Governo, andando oltre l’indirizzo della Commissione parlamentare, ha ritenuto di puntare verso un sistema di tassazione delle imprese diverso, un sistema di tassazione chiamato “duale”, che prevede anche l’applicazione di una sola aliquota proporzionale per la tassazione dei redditi derivanti dallo svolgimento dell’attività d’impresa e l’avvicinamento del risultato fiscale dell’impresa a quello civilistico.
Nel disegno di legge delega, che nulla prevede comunque per le attività professionali, ha infatti affermato espressamente l’esigenza di “neutralità tra i diversi sistemi di tassazione delle imprese, per limitare distorsioni di natura fiscale nella scelta delle forme organizzative e giuridiche dell’attività imprenditoriale”.
È probabile, quindi, che una modifica sostanziale del sistema di tassazione dei redditi d’impresa, con un criterio diverso dall’attuale regime forfettario, possa trovare spazio nei decreti delegati.
Nel frattempo, però, l’aumento del limite dei 65.000 Euro non sarebbe stato male, specialmente in questo periodo in cui si tenta con forza di uscire dalla crisi legata alla pandemia e che ha messo in ginocchio tantissime imprese, sia individuali che societarie.