Il 4 novembre, Catania ha accolto con entusiasmo la prima dello spettacolo teatrale Magnifica Presenza di Ferzan Ozpetek, tratto dall’omonimo film del 2012. Una serata che ha confermato la potenza visiva, emotiva e poetica del regista turco-italiano, con la sala del Teatro ABC completamente piena, dal pubblico attento e visibilmente coinvolto.
Un’opera che non si limita a intrattenere: arriva dentro, chiede attenzione e ascolto, e ricorda che il teatro è ancora uno dei pochi luoghi in cui possiamo sentirci davvero presenti.
Lo spettacolo, con Serra Yilmaz, Tosca D’Aquino, Erik Tonelli, Toni Fornari, Luciano Scarpa, Tina Agrippino, Sara Bosi e Fabio Zarrella, della durata di 1 ora e 40 minuti, si apre in modo sorprendente: gli attori salgono sul palco partendo direttamente dalla platea, sorridendo e salutando attivamente il pubblico.
La trama
Protagonista della storia è Pietro, un giovane attore catanese arrivato a Roma per inseguire il sogno di una carriera artistica. Fino ad allora viveva con la cugina, pieno di aspettative, fragile ma determinato. Un giorno riesce a trovare una casa che sembra perfetta: elegante, misteriosa, con un fascino fuori dal tempo. Ben presto però Pietro scopre che non è solo in quell’appartamento.
Iniziano ad apparire delle “presenze”: uomini e donne vestiti in abiti degli anni ’40. Sono attori, membri della Compagnia teatrale Apollonio, che credono di essere ancora vivi e di trovarsi alle soglie di una nuova première. In realtà sono fantasmi rimasti legati alla casa e al loro ultimo spettacolo. La “magnifica presenza” di cui parla il titolo è anche un gioiello, rubato per amore e sopravvivenza, simbolo della bellezza che resiste persino all’orrore.
Il mistero del 1943
Col tempo emerge la verità: la compagnia è stata vittima degli eventi tragici del 16 ottobre 1943, durante il rastrellamento del ghetto di Roma. Il mondo si è dimenticato di loro. Il loro spettacolo non è mai andato in scena. La loro arte è rimasta sospesa, incompiuta nel tempo.
Tra i personaggi spicca la diva Livia Morosini, figura tormentata e avida, legata sentimentalmente a un generale delle SS con il quale ha tradito la sua compagnia facendo la spia. È lei a ricordare i giorni prima della tragedia, quando: “A quei tempi chiunque poteva venderti per una sigaretta.”
Pietro: l’unico che può vederli
Perché Pietro li vede? Perché crede. Perché non si fa troppe domande, come Serra Yilmaz spiega in un momento molto profondo. Gli attori fantasma lo coinvolgono in dinamiche quotidiane ma gli chiedono anche aiuto: vogliono riportare alla luce il loro ultimo spettacolo, per chiudere un cerchio e trovare finalmente pace.
La magnificenza del Novecento
Uno degli elementi più affascinanti è la scenografia, elegante, sontuosa, permeata dall’estetica teatrale del Novecento: velluti, specchi, costumi ricercati… Tutto appare studiato in ogni dettaglio, grazie anche alla raffinata cura delle luci e delle musiche, che guidano lo spettatore in un viaggio tra sogno, passato e mistero.
Le parole pronunciate sul palco non sono mai casuali: metafore sulla vita e sul teatro si intrecciano continuamente. Il pubblico si trova davanti a una riflessione poetica sul ruolo dell’attore, su quella professione che richiede fragilità, trasformazione, sacrificio.
Un teatro che non distingue generi, epoche, realtà e immaginazione: esiste solo l’essenza dell’essere umano: “Femminile, maschile… non c’è differenza nell’arte.”
Un ponte tra palco e platea
Ozpetek rompe le barriere e non crea differenze tra attori e spettatori. Il pubblico è parte integrante dello spettacolo, testimone e complice. Il tempismo artistico funziona come un orologio emotivo: ogni gesto, ogni battuta arriva dove deve arrivare.
Il viaggio si conclude come un’introspezione collettiva: gli attori ritrovano la loro voce, Pietro trova la sua identità e il pubblico scopre qualcosa di sé nella fragilità di quei personaggi sospesi nel tempo.
Il lavoro dell’attore: confine tra verità e finzione. Ozpetek apre una finestra su questo mestiere così impegnativo: la fatica invisibile, la disciplina, la fragilità necessaria a trasformarsi, il tempismo artistico come cuore pulsante del palcoscenico.
Applausi e commozione
Alla fine, l’ABC è stato travolto da un applauso lungo e caloroso che testimonia la riuscita dell’evento: il pubblico esce arricchito, come dopo un viaggio interiore. Catania ha assistito non solo a uno spettacolo teatrale, ma a un’esperienza che parla a chiunque ami sognare.
Perché, come disse Ozpetek: “Ho tanto cercato il mio posto del mondo, ed era dentro di me.”

