Teatro, il progetto "20ANNI" per narrare i fatti del G8 di Genova - QdS

Teatro, il progetto “20ANNI” per narrare i fatti del G8 di Genova

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Teatro, il progetto “20ANNI” per narrare i fatti del G8 di Genova

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martedì 19 Gennaio 2021

Portare in scena i fatti accaduti durante il G8 di Genova con un linguaggio universale. Questo l'obiettivo del progetto "20ANNI" di Area Teatro. Alessio Di Modica: "Un percorso condiviso dal basso"

Ripartire da Genova, da quell’estate del 2001 che segnò la storia d’Italia, con la volontà di tornare a raccontare quei fatti sempre più riposti nel dimenticatoio. Questa l’ambizione di Area Teatro – compagnia indipendente di Augusta, nel cuore del polo petrolchimico più grande d’Europa – che non si ferma nemmeno con la pandemia. Continua, infatti, con ottimi risultati il crowdfounding a sostegno del progetto “20ANNI” per portare in scena i fatti accaduti durante il G8 di Genova.

“Vent’anni fa il voler raccontare quei fatti mi ha messo davanti alla necessità e all’esigenza del narrare. Quel racconto mi fece comprendere quale era la strada che artisticamente volevo percorrere. Oggi riprendere quello spettacolo mi dà la possibilità di guardare la strada percorsa e le scelte fatte a livello personale e collettivo”, racconta l’attore e cuntastorie augustano Alessio Di Modica che, insieme al fratello Ivano, con Area Teatro lavora da anni sul territorio, spesso anche in “direzione ostinata e contraria”. “La memoria – continua – oggi più di ieri diventa un’emergenza, in un Paese che su tutti i fronti ha difficoltà a confrontarsi con il dissenso e con lo spirito critico”.

Alessio Di Modica

Alessio Di Modica

Alessio Di Modica

Il progetto e i suoi sviluppi, Alessio Di Modica: il “cunto” come strumento di riappropriazione

Alessio Di Modica spiega in un’intervista esclusiva rilasciata al QdS la necessità di un “percorso dal basso condiviso“. Per parlare una lingua universale senza compromessi, trattando i temi necessari per un’adeguata consapevolezza del popolo. Il progetto “20ANNI” ha già il sostegno di personaggi di grande rilievo.

Come nasce il progetto e quali sono gli sviluppi?
“Dopo quel luglio, ci fu l’11 settembre e gli avvenimenti del G8 passarono in secondo piano. Anzi si trovò la scusa per mettere tutti i protagonisti del dissenso alla voce ‘terroristi’. Con l’arrivo della pandemia avevamo pensato di rimandare il progetto, ma per una questione di dovere nei confronti della memoria abbiamo deciso di non far seppellire di nuovo quegli eventi da altro. Siamo indipendenti e di solito ci autoproduciamo gli spettacoli ma stavolta abbiamo pensato a un percorso dal basso condiviso. La campagna sta andando molto bene, nonostante lockdown e vicissitudini varie. Mancano ancora circa 80 giorni e siamo vicini all’obiettivo che ci eravamo prefissati. Insomma, chi vuole può ancora sostenerla.
C’è una grande voglia in giro di riprendere i fili dei Social Forum, molti degli argomenti che allora si trattavano sono diventate emergenze. La pandemia ha mostrato le parti vulnerabili di questo sistema ma già in quegli anni si lavorava a soluzioni dal basso, partecipate che non mettesse il capitale o gli interessi delle multinazionali al centro”.

Perché trattare, oggi, temi come questi?
“Perché no? Oggi il pubblico è diviso tra il linguaggio nazionalpopolare della tv e l’intellettualismo esclusivo di un certo teatro. Noi parliamo una lingua che ha la dignità e l’universalità di una tecnica antica come quella del cunto e arriva a tutti senza svendersi o scendere a compromessi. Questi temi devono arrivare a chiunque senza scadere nella nicchia del teatro impegnato o dell’impegno superficiale da raccolta fondi televisiva. Negli ultimi anni assistiamo alla perdita di livello nel teatro indipendente perché il tema è diventato più importante della tecnica, così per esempio ci sono troppi spettacoli sulla storia della mafia ma pochi raccontano bene le cose. E poi ci sono le motivazioni: per alcuni sono i bandi del ministero o il marketing, per altri il cuore. Ben vengano questi temi se ci sono la ricerca e la tecnica alle spalle. Il progetto ha il sostegno di personaggi come Haidi Gaggio Giuliani, Vauro e non solo.
La famiglia Giuliani è coinvolta direttamente, loro hanno pagato un prezzo altissimo. Carlo, oltre a essere stato ucciso e oltraggiato, è sempre stato trattato dall’opinione pubblica come delinquente o vandalo e invece bisogna dire che era un ragazzo. Uno che cresce in una città come Genova non può accettare che diventi una gabbia. Quello che è successo a lui poteva accadere a chiunque in quei giorni. Sono stati i primi con cui abbiamo parlato quando abbiamo deciso di riprendere in mano il progetto. Ci sono anche persone che ci hanno dato subito entusiasmo come Massimo Zamboni (che ha dato la possibilità di usare nello spettacolo un suo pezzo inedito scritto proprio per i fatti del G8) e Cisco Bellotti, senza dimenticare Antonio Bellia (regista), Vittorio Agnoletto (coordinatore nazionale di Medicina Democratica e nel 2001 era il coordinatore Del Genoa Social Forum), Marco Ciriello (giornalista), la scrittrice Maria Rosa Cutrufelli, Reato Di Nicola del Forum italiano dei movimenti per l’acqua e il musicista Enrico Capuano”.

Avete raggiunto anche l’Argentina..
“Quando è partito il progetto ci hanno scritto le Madri di Plaza de Mayo. È stato commovente per noi: per anni le abbiamo incontrate, viste, seguite e poi è arrivato il loro messaggio che diceva di sostenere questo lavoro. Vuol dire che la strada è giusta”.

“Partigiani della Memoria Tour”, di cosa si tratta?
“Era il giro di anteprime che avremmo voluto fare per presentare lo spettacolo. Dovevamo partire già a giugno del 2020 ma la pandemia ha congelato tutto. Contiamo di partire appena sarà possibile e non fermarci più perché il ‘Partigiani della Memoria’ non vuole essere una cosa legata soltanto all’anniversario ma alla memoria, per chi ha dimenticato e per le nuove generazioni che non sanno, quindi sarà necessario anche negli anni successivi ricordare come è avvenuta quella che Amnesty ha definito ‘la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dal dopoguerra in poi’ “.

Da tempo porta avanti una ricerca sull’oralità, partendo dalla tradizionale tecnica siciliana dei cuntastorie: il “cunto”. Quanto è importante oggi il racconto?
“Oggi l’oralità è messa seriamente in crisi, non le si dà importanza e spesso viene associata a una condizione di ignoranza. Invece la letteratura è ‘un’invenzione moderna’, mentre l’oralità è qualcosa di antico che avendo a che fare con la parola scritta è viva, contemporanea e allo stesso tempo antica. Il cunto è patrimonio immateriale che si fa arte attraverso suono, respiro, voce e ritmo. In ogni cultura ci sono storie che vanno salvaguardate per creare l’immaginario collettivo di un popolo. Questo è il cunto e quello che ci hanno lasciato in eredità i cuntisti delle generazioni precedenti. Come diceva Mahler ‘Le memoria non è culto delle ceneri ma mantenimento del fuoco’.

Il Covid19 ha messo in ginocchio molte attività culturali, non ultimo il cinema e il teatro. Pensa che possano reinventarsi in qualche modo?
“Stiamo lavorando sui nuovi linguaggi ma non come sostitutivo perché il teatro è un evento fatto di carne, ossa e sguardi che si incrociano e non può essere sostituto attraverso la nuova tecnologia. Piuttosto come percorso diverso, come un evento che accade non dal vivo ma in live. Per esempio, da anni tengo dei laboratori a Taiwan, con la pandemia non potendomi muovere stiamo sperimentando percorsi che consentono di poter lavorare sull’energia, sulla presenza e sulla percezione dello spazio (che sono fondamenti teatrali), ma attraverso le piattaforme. Ovviamente questo per ora lo facciamo aspettando di riprendere in presenza”.

Valentina Ersilia Matrascia

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