CATANIA – Il panorama culturale siciliano si arricchisce di una nuova figura carismatica. Di comprovata e pluriennale esperienza nel campo della direzione di teatri nazionali, è il fiorentino Marco Giorgetti il nuovo direttore dello Stabile di Catania, con l’obiettivo di proseguirne e rafforzarne il percorso di crescita e di apertura culturale, valorizzando la tradizione e al tempo stesso guardando alle nuove sfide artistiche e gestionali.
Fresco di nomina, come ha trovato lo Stabile?
“Ho trovato uno Stabile solido dal punto di vista istituzionale e amministrativo-contabile, grazie al lavoro svolto dalla presidente Rita Gari Cinquegrana e dal Consiglio di amministrazione. Un’istituzione che ha superato momenti complessi e che oggi possiede nuovamente un’identità, una struttura forte e una grande vitalità. Ho trovato anche una città curiosa, attenta, con una comunità artistica ricchissima di energie che aspettano soltanto di essere messe in dialogo”.
Quali sono i punti di forza e le criticità del nuovo cartellone?
“Il punto di forza principale è la sua missione: ‘Il potere dei sogni’ non è uno slogan, ma un invito a recuperare l’immaginazione come forza civile. Nel cartellone convivono tradizione e nuovi linguaggi, con un’attenzione agli attori, agli autori e ai registi del territorio. Le criticità sono quelle che attraversano l’intero sistema teatrale nazionale: la necessità di allargare il pubblico, soprattutto giovanile, e di garantire condizioni di produzione adeguate alle ambizioni artistiche”.
Si stima che più del 70% della popolazione italiana morirà senza mai essere entrata in un teatro. Un dato, seppure impietoso, che, secondo la sua opinione, potrebbe rispondere a verità?
“Purtroppo sì, è un dato che non sorprende. Ed è un problema che ha origini lontane, in molti casi nell’educazione scolastica – che comunque in tanti casi opera in modo eccellente – e in quella familiare, che raramente trasmettono il Teatro come bene primario, e i luoghi teatrali come spazi di vita quotidiana, come dovrebbe essere. Perché il teatro è uno dei luoghi dove la comunità si riconosce e riflette su sé stessa, ma lo si deve fisicamente vivere, uscendo, andandoci, con un atto volontario e proattivo. Dunque contrario alla tendenza alla passività che impone l’abitudine al consumo anche in campo culturale. È una sfida che dobbiamo affrontare e, possibilmente, superare facendo sentire il Teatro a ogni cittadino come casa propria”.
Quali le contromisure da adottare?
“Bisogna partire dall’educazione allo spettacolo dal vivo. Lo Stabile di Catania sta già lavorando in questa direzione, cominciando dal fondamento della democrazia e di ogni azione rivolta ai giovani, la scuola, con la quale e per la quale sta attivando una serie di azioni, concertate con gli insegnanti e nate proprio dal confronto con loro, con progetti dedicati agli adolescenti e alle famiglie. Inoltre è necessario costruire una relazione sempre più forte con l’Università, altro polo fondamentale di sensibilizzazione dei giovani, e con il territorio, rendendo il teatro un luogo aperto, non un tempio da varcare solo in occasioni speciali”.
Bisognerebbe attuare una sorta di missione giovani.
“Parlare ai giovani significa prendersi cura del futuro della nostra società. Il teatro, per sua natura, è un luogo di formazione umana prima ancora che artistica. Abbiamo avviato percorsi dedicati ai giovani, alle nuove drammaturgie, ai ragazzi che vogliono avvicinarsi ai mestieri dello spettacolo. I giovani non devono essere soltanto spettatori, ma devono essere i nuovi protagonisti della vita del teatro”.
Ritiene che il teatro che dirige possa essere ancora motore di ricerca e innovazione?
“Assolutamente sì. Ma bisogna intendersi sulla parola innovazione. Io non credo nell’avanguardia istituzionalizzata né nel nuovo come valore in sé. Credo, piuttosto, in un’innovazione che nasce dalla tradizione: dai testi, dagli attori, dalla nostra capacità di raccontare storie. La vera ricerca è quella che rinnova il linguaggio senza recidere le radici”.
Potrebbe spiegarci meglio il progetto “Laboratorio Catania per un Teatro del Mediterraneo’?
“È il cuore del piano industriale che sto preparando e che a brevissimo sottoporrò al Cda. Catania ha una vocazione naturale: è una città ponte, aperta, mediterranea. Lo Stabile etneo deve tornare a essere un luogo di creazione primaria, che dialoga con le grandi realtà europee e con i Paesi che si affacciano sul mare nostrum. Vogliamo costruire scambi, coproduzioni, residenze artistiche. E avendo sempre al centro l’attore, l’attrice, lo scrittore, la scrittrice, i tecnici: sono loro i veri protagonisti del teatro”.
Siamo pronti per la candidatura di Catania a Capitale italiana della Cultura 2028?
“È un progetto che richiede una visione condivisa dalla città, dalle istituzioni e dalla comunità culturale. Noi stiamo lavorando per offrire il nostro contributo forte, responsabile e riconoscibile, mettendo in campo la nostra storia e la nostra capacità produttiva. La candidatura è un’opportunità straordinaria per Catania, per riscoprire il valore collettivo della cultura in chiave di sviluppo”.
Lo Stabile è ancora un presidio culturale e un punto di riferimento nazionale?
“Sì, e oggi lo è più che mai. Uno Stabile è presidio culturale quando sa custodire la propria identità, ma anche interrogare il presente facendo sistema. Il nostro Teatro continua a essere un punto di riferimento perché produce, forma, accoglie, crea reti e mantiene un ruolo autorevole nel sistema teatrale italiano. Il tessuto culturale del territorio riconosce allo Stabile di Catania una funzione che nessun’altra istituzione può svolgere”.
Lo abbiamo già accennato, la nuova stagione s’intitola ‘Il potere dei sogni’. Il suo qual è?
“Il mio è il sogno più semplice e allo stesso tempo più ambizioso: vedere questa comunità frequentare il teatro come luogo naturale, quotidiano, necessario. Sogno un teatro pieno di attori, di registi, di tecnici, di giovani curiosi, di storie nuove e antiche che ci si trovino come a casa. E sogno uno Stabile che sappia raccontare Catania al Mediterraneo e all’Europa”.

