Titoli falsi a concorso, non vale la buona fede - QdS

Titoli falsi a concorso, non vale la buona fede

Serena Giovanna Grasso

Titoli falsi a concorso, non vale la buona fede

venerdì 03 Maggio 2019

Secondo la sentenza 2257 del Consiglio di Stato, autore responsabile anche quando non è parte attiva del falso
Al centro della vicenda l’invalidità del diploma di specializzazione che l’insegnante credeva di possedere

PALERMO – Produrre titoli falsi durante i concorsi ha sempre delle conseguenze, anche quando l’autore agisce in buona fede.
Al centro della sentenza numero 2257, depositata dal Consiglio di Stato lo scorso 5 aprile, il caso di un docente campano di educazione fisica che aveva frequentato un corso di specializzazione polivalente e aveva conseguito il relativo diploma di specializzazione. Dal 2001 al 2012 aveva prestato servizio presso vari istituti come insegnante di sostegno e si trovava in possesso dei requisiti necessari all’accesso ai corsi speciali universitari indetti dal Miur, ai fini del conseguimento dell’abilitazione o dell’idoneità all’insegnamento.

Il docente in questione veniva informato dall’ufficio scolastico regionale di Caserta che un istituto presso cui aveva insegnato, a seguito di verifica sul diploma di specializzazione, aveva scoperto l’invalidità del titolo presentato.

A seguito di tale notizia, l’insegnante aveva presentato denuncia e querela nei confronti dei referenti del corso. Inoltre, i singoli istituti scolastici presso i quali aveva prestato servizio avevano adottato i provvedimenti di annullamento del servizio, in quanto non risultante in possesso del titolo di specializzazione polivalente dell’attività di sostegno.

Alla luce di quanto affermato, l’insegnante chiedeva al Tar l’annullamento del decreto dirigenziale con il quale l’ufficio scolastico regionale competente aveva disposto la revoca dell’abilitazione.

Il Tar della Campania respingeva l’istanza di sospensione affermando “nel caso in cui, come nella fattispecie, un titolo sia stato ottenuto sulla base di una non fedele rappresentazione della realtà l’Amministrazione può procedere all’annullamento d’ufficio senza esternare alcuna particolare ragione di interesse pubblico e senza tenere conto dell’affidamento ingeneratosi nel privato, non potendo quest’ultimo fondare alcun legittimo affidamento in ordine alla persistenza di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’ente pubblico”.

Secondo il Consiglio di Stato “il fatto che l’appellante fosse da considerare vittima e non artefice del falso e che egli avesse sempre agito in buona fede non toglie che l’Amministrazione sia stata indotta in errore, in quanto nell’ambito del procedimento amministrativo, l’acclarato falso rileva sotto il profilo meramente oggettivo, senza che sia necessario che il soggetto presentatore della dichiarazione falsa sia parte attiva del falso o che gli abbia agito in mala fede”.

Inoltre, aggiunge la sentenza “non può essere attribuita alcuna efficacia sanante al diploma mancante ab origine il fatto che l’interessato abbia prestato effettivamente servizio per più di un decennio e che egli abbia superato l’esame di abilitazione, dal momento che un tanto non fa venire meno la situazione di illegittimità accertata”.

Il servizio prestato è del tutto irrilevante, non potendosi sostenere che l’attività svolta possa surrogare alla mancanza del titolo di specializzazione.
Al servizio prestato in via di mero fatto, a seguito dell’accertamento della carenza titolo si specializzazione richiesto, non può quindi attribuirsi alcun significato, non avendo il medesimo alcuna efficacia sanante del vizio originario.

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