La narrazione degli abusi perpetrati all'interno del carcere di Trapani non può prescindere dalla descrizione dei luoghi in cui i detenuti sarebbero costretti a vivere.
“La luce filtra a mala pena da una finestrella posta in alto. Una fila di sbarre e l’aggiunta di una rete a trama molto fitta impediscono anche all’aria di scorrere libera. Nella stanza, tutto è piantato alla parete o al pavimento di cemento: branda, tavolo, sedile, armadietto, lavabo. Il cesso è a vista. L’ora d’aria può avvenire uno alla volta in una vasca di cemento di due metri per nove, con le mura altissime e la rete sopra come quella di un pollaio”. La narrazione degli abusi perpetrati all’interno del carcere Pietro Cerulli di Trapani non può prescindere dalla descrizione dei luoghi in cui i detenuti sarebbero costretti a vivere anche in una situazione di normalità. A visitare le 16 celle del reparto Blu, quello destinato all’isolamento, era stata nel 2023 l’associazione Nessuno tocchi Caino, arrivando a una conclusione che non lasciava spiragli ad alcun tipo di appello: “Questo reparto va chiuso”.
A rendere tutto più infernale sarebbero stati però decine di agenti penitenziari, che – stando a quanto ricostruito nell’inchiesta condotta dalla procura guidata da Gabriele Paci – avrebbero abusato del proprio ruolo per dare sfogo a ripetuti atti di violenza, incompatibili con il ruolo professionale. Per il gip Giancarlo Caruso, che ha disposto gli arresti domiciliari per undici poliziotti e la sospensione dal servizio per 14 (ma l’indagine coinvolge altre 19 persone), nella casa circondariale si sarebbero verificati trattamenti inumani e degradanti. Al punto che gli inquirenti ad alcuni indagati contestano il reato di tortura.
La riprese degli abusi
È da poco finita l’estate del 2021, quando un detenuto trova il coraggio di sporgere denuncia contro l’aggressione subita all’interno del reparto Blu. L’uomo si rivolge al personale del Nir, i nuclei investigativi della polizia penitenziaria. Racconta che il mese precedente, dopo avere inscenato una protesta per essere stato collocato in isolamento, due agenti lo avevano colpito con un calcio sullo stinco e un pugno alla nuca e poi uno gli aveva sputato in faccia. Una ritorsione per avere incendiato la propria cella, ricostruisce il detenuto, che racconta anche di avere compiuto atti autolesionistici, ingerendo lamette.
L’episodio non sarebbe isolato. “Ricordo di avere sentito quando hanno picchiato quel detenuto che era salito sul tetto. Fu portato completamente nudo al reparto Blu e dalla mia cella sentivo le urla dello stesso e i rumori di come lo picchiavano. Tengo a precisare che i picchiatori sono sempre gli stessi e non sono tutti, perché ci sono dei poliziotti che sono veramente dei padri di famiglia”, mette a verbale la vittima.
Dichiarazioni che danno avvio all’indagine della procura, che un anno dopo otterrà l’autorizzazione per l’installazione di telecamere nascoste all’interno del reparto. Gli obiettivi elettronici, nell’arco di pochi mesi, confermano il sospetto: all’interno del carcere gli episodi di violenza non sarebbero stati un’eccezione.
Botte e umiliazioni
“Ora vediamo chi c’è di capoposto, e lo andiamo a sminchiare a questo, questa notte”. A parlare così era il 29enne Antonino Fazio, uno degli undici agenti per cui è stato ordinato l’arresto. Nell’ordinanza di custodia cautelare si legge che il poliziotto, parlando con i colleghi, avrebbe ipotizzato la necessità di creare “una squadretta di sei persone” pronta a intervenire ogni volta che qualche detenuto avesse adottato comportamenti ritenuti non consoni. La logica sarebbe stata quella di tutelare i colleghi, senza badare più di tanto ai trattamenti a cui sottoporre i detenuti: “Gli si devono dare legnate fino a quando… mentre ci si danno legnate, ci si dice: ‘I colleghi non si toccano’ – si legge in una intercettazione – A Ivrea così facevamo noi, appena toccavano un collega… a sminchiarli proprio”.
Scorrendo i capi d’accusa nei confronti degli indagati ci si imbatte in scene cruente: schiaffi, pugni, sputi, ma anche umiliazioni, dalle secchiate d’acqua mista a urina all’obbligo di denudarsi per muoversi nudi nei corridoi. Le telecamere nascoste avrebbero ripreso agenti mentre sbeffeggiavano le vittime, con commenti irriguardosi e balletti.
Il 39enne Filippo Guaiana – anche lui arrestato – avrebbe suggerito di evitare di usare i manganelli, in quanto troppo rumorosi, e di preferire metodi più artigianali. “Gli scudi e i manganelli fanno più bordello, se lui ci esce le mani, ci mettiamo un bel paio di manette, lenzuolo di sopra per non lasciargli segni e lo fracchi, tanto questo è nero e non si vede un cazzo”, è la frase che l’agente avrebbe pronunciato riferendosi a un detenuto straniero.
Nessun sovraffollamento
Quando si parla di violenza all’interno delle case circondariali, il tema del sovraffollamento delle strutture finisce sempre al centro dell’attenzione. Nel caso del carcere di Trapani ciò non si sarebbe registrato: a fronte di una capienza effettiva di 544 posti, i detenuti presenti a fine luglio dell’anno scorso erano 527, dei quali 63 appartenenti al circuito di alta sicurezza. “L’istituto penitenziario non vive un problema di sovraffollamento”, ha scritto il giudice per le indagini preliminari. Qualche carenza, invece, ci sarebbe stata sul fronte dell’organico della polizia penitenziaria. “La pianta organica prevede trecento unità: la stessa risulta solo parzialmente coperta in quanto gli agenti in servizio sono 249 con una scopertura del 17 per cento”.