Una legge di bilancio, quella in dirittura di arrivo, definita “prudente” poiché vale circa 18 miliardi di euro, prevede interventi come il taglio dell’Irpef e incentivi al lavoro stabile, ma una previsione di crescita “debole”. La manovra 2026 sembra mirare più che altro alla stabilizzazione, si rivela “prudente” nei conti, ma “blanda” nella risoluzione dei problemi più urgenti, quali sanità, istruzione, bassi salari (fermi da 10 anni), emergenza abitativa, povertà (si contano in Italia 6 milioni di poveri). Il disegno di Legge di Bilancio 2026 destina per il Fabbisogno sanitario nazionale 142,9 miliardi di euro prevedendo un incremento di 2,4 miliardi di euro e 2,65 miliardi rispettivamente per il 2027 e 2028.
Sanità e Pil: un rapporto in calo
In rapporto al Pil la percentuale è di appena il 6,15%, e scenderà nel 2027 al 6,04% e nel 2028 al 5,93%: il livello più basso di sempre considerato il fatto che il piano prevede 27 mila nuove assunzioni tra medici e infermieri, insieme a un rialzo del tetto di spesa per farmaci e dispositivi. L’obiettivo è quello rafforzare la medicina territoriale e ridurre le liste d’attesa, ma il piano appare di difficile realizzazione perché le risorse aggiuntive non saranno in grado di compensare l’aumento dei costi dovuto all’inflazione sanitaria.
Aumento record della spesa militare
Diversamente, si prevede un aumento significativo della spesa militare, raggiungendo circa 32 miliardi di euro (+3,52%), con un incremento di circa un miliardo rispetto all’anno precedente, destinando oltre 13 miliardi specificamente a programmi di armamento (investimenti) per caccia, droni, cyber-sicurezza e sistemi spaziali, segnando un record storico e consolidando il riarmo pianificato nei prossimi anni.
Vincoli europei e manovra di transizione
Sull’onda della pandemia, le finanziarie precedenti potevano contare su sostanziosi incrementi del debito pubblico. Quest’anno, per rispettare le nuove regole europee, il disavanzo disponibile sarà meno di un miliardo. Insomma, una manovra di transizione assai “magra”, con un equilibrio precario dovuto al fatto che vengono finanziate riduzioni permanenti di tasse con entrate straordinarie o tagli straordinari, cioè non ripetibili negli anni a venire. Si ipotizza di coprire la riduzione delle tasse con i fondi del Pnrr, che l’anno prossimo probabilmente non ci saranno più. Inoltre, per ridurre l’Irpef vengono dirottati a tal fine i fondi per la coesione sociale che dovrebbero essere destinati a ben altri scopi. Il rischio è che la prudenza si trasformi in stagnazione e in un aumento delle diseguaglianze sociali. Senza Pnrr saremmo già in recessione.
Il dibattito sulla patrimoniale
Potrebbe una patrimoniale sui redditi più alti salvare la situazione? La risposta non è semplice neanche per gli economisti e ancor meno per gli equilibristi. Tecnici ed economisti hanno idee diverse in proposito. Peraltro, la discussione sui costi e i benefici delle imposte patrimoniali è utilizzata come occasione di scontro ideologico. La Cgil ha recentemente proposto un’aliquota dell’1,3% sui patrimoni superiori ai 2 milioni, come mezzo per far diminuire le diseguaglianze facendo pagare di più ai ricchi e trasferire risorse ai poveri. In tanti hanno notato che la discussione sulla patrimoniale fa comodo sia alla destra sia alla sinistra. Ovviamente, la destra è in posizione privilegiata, perché le patrimoniali fanno paura a tutti, fanno perdere consensi, spaventano il ceto medio risparmiatore e fanno scappare i capitali.
I limiti delle imposte patrimoniali
“Se la sinistra seguisse la Cgil su questa strada – scrive Pietro Reichlin – andrebbe incontro a molti rischi e farebbe una promessa che difficilmente riuscirebbe a mantenere se tornasse al governo”. In tutti i Paesi avanzati, il gettito da imposte patrimoniali è molto scarso, mediamente vicino all’uno per cento del Pil e mai superiore al 3%. E i Paesi dove le disuguaglianze sono minime, come la Scandinavia, la Danimarca e l’Olanda, hanno da tempo abbandonato la via delle imposte patrimoniali, come strumento per la redistribuzione, e si servono principalmente della spesa sociale. E poi non è detto che la patrimoniale dia i risultati sperati, per i costi amministrativi, per la difficoltà di accertamento e per le infinite possibilità di elusione.
Equità fiscale e riforma complessiva
Forse la questione andrebbe affrontata ponendosi il problema di distribuire il carico fiscale nel modo più equo cercando, parimenti, di preservare l’efficienza del sistema e di minimizzare le distorsioni. Ma come fare? Il nostro sistema tributario è complesso ed esistono ottimi motivi per cercare di alleggerire il carico fiscale sul lavoro per estenderlo ad altre forme di reddito, come rendite e patrimoni.
In alternativa, si potrebbe introdurre un’aliquota superiore al 43% sui redditi più elevati, rivedere le rendite catastali per gli immobili soggetti a tassazione. Ma una riforma complessiva del fisco, allo stato attuale della situazione politica, è difficilissima; ogni anno si invoca questa necessità per bloccare sul nascere qualunque proposta concreta. Certo, una riforma complessiva del fisco è necessaria e occorre scovare i piccoli e i grandi evasori e programmare una diversa ripartizione evitando lo spauracchio della patrimoniale.In alternativa, si potrebbe introdurre un’aliquota superiore al 43% (quella che ora colpisce tutti i redditi sopra i 50mila) sui redditi più elevati, rivedere le rendite catastali per gli immobili soggetti a tassazione. Ma una riforma complessiva, allo stato attuale della situazione politica, è difficilissima per le discordanze sia all’interno della destra che della sinistra; ogni anno si invoca questa necessità per bloccare sul nascere qualunque proposta concreta che possa rappresentare un passo avanti. Certo, una riforma complessiva del fisco è necessaria e occorre scovare i piccoli e i grandi evasori (dall’idraulico all’elettricista, dall’odontoiatra all’imprenditore) e programmare una diversa ripartizione evitando lo spauracchio della patrimoniale.
Pina Travagliante
Professore ordinario di Storia del pensiero economico presso l’Università degli Studi di Catania

