“Lo sai, la nostra stagione com’è: arrivano quindici viaggi, tu hai idea quanti soldi sono? Miliardi”. Magari non proprio quindici, ma con una ventina di traversate un miliardo di lire egiziane, lo si poteva tirare su. Sarebbe stato di queste proporzioni il giro d’affari controllato il gruppo di egiziani arrestati nei giorni scorsi in seguito all’inchiesta della Dda di Catania.
Il capo, il 59enne Assad Ali Gomaa Khodir, è stato fermato ieri in Turchia, dopo essere sfuggito al blitz eseguito dalla polizia insieme alle agenzie Europol ed Eurojust. “È stato catturato durante un’operazione condotta a Fatih, quartiere della penisola storica di Istanbul”, ha annunciato ieri il ministro degli Esteri Ali Yerlikaya.
Proprio dalla capitale turca, Khodir teneva le redini di un sistema strutturato su più livelli e che faceva leva su una rete di contatti attiva in più Paesi. Un traffico di esseri umani che, a differenza di quanto accade sulla rotta che parte dai paesi nordafricani, non si basava su barconi fatiscenti ma su barche a vela che offrivano maggiori garanzie in termini di sicurezza. Anche se, a detta dello stesso 59enne, non sempre le tragedie sarebbero state scongiurate.
Tariffe elevate
Le indagini, iniziate nel 2022, hanno portato a ipotizzare che per ogni viaggio – sono quasi una ventina quelli ricostruiti, tra Sicilia e Calabria – l’associazione riusciva a ricavare mediamente la somma di 700mila euro. Cifra che poi in parte andava reinvestita per garantire la prosecuzione delle attività.
Le voci di spesa andavano dal reclutamento degli skipper all’acquisto dei telefoni e delle schede sim che il più delle volte andavano gettati in mare poco prima di arrivare a destinazione, dall’affitto degli immobili dove far soggiornare scafisti e migranti, le stesse barche a vela che quasi mai potevano fare ritorno, fino alle provviste per il viaggio e, chiaramente, alle retribuzioni dei componenti del gruppo e degli intermediari.
Per partire dalla Turchia con destinazione l’Europa – tra le mete non c’era solo l’Italia, ma anche la Grecia – c’è chi era disposto a pagare anche 12mila euro. Importi non da tutti, anche se poi le storie dietro alla scelta di mettersi in mare raccontano sempre di uomini e donne alla ricerca di condizioni di vita migliori.
“Sono nato in Iraq nel 1963. Sono andato via dalla mia città, Baghdad, nel 2018 per motivi politici. Svolgevo l’attività di ingegnere elettronico – ha raccontato un uomo, poco dopo essere sbarcato nel 2022 a Portopalo di Capo Passero – Ho raggiunto la Turchia legalmente in aereo, dove ho vissuto come rifugiato abitando in una casa in affitto. Le mie condizioni di vita non miglioravano, così ho deciso di raggiungere l’Europa”. L’uomo ha aggiunto di avere ricevuto il contatto di Khodir da conoscenti che vivono in Germania e di avere trovato un accordo per 6mila dollari. “Non ho visto nessun soggetto avere delle armi con sé. Non ho mai subito violenza”, ha specificato ai poliziotti.
Chi è Khodir
Conosciuto come Abu Sufyen e originario della città egiziana Damietta, Assad Ali Gomaa Khodir non è un nome nuovo alle autorità giudiziarie. Il 59enne aveva fatto ingresso in Turchia nel 2019, con il proprio passaporto, dopo avere lasciato il Paese natale per sfuggire a una condanna a dieci anni per traffico di migranti.
Arrivato a Istanbul, Khodir non avrebbe abbandonato il proprio business. Grazie al contributo di un nipote e di un connazionale titolare di un’agenzia immobiliare, sarebbe stato in grado di far funzionare una macchina tutt’altro che semplice da tenere insieme. “Dalla Turchia gestisce l’intera organizzazione”, hanno scritto gli inquirenti, sottolineando che il 59enne si occupava anche di procurare i permessi di soggiorno riservati ai turisti e da consegnare agli skipper reclutati in patria.
La capacità di curare nei minimi dettagli la preparazione dei viaggi, tuttavia, non annullava i rischi. A giugno 2022, Khodir parla di una traversata conclusa nel peggiore dei modi: “Ha fatto ingresso in Grecia con il brutto tempo, quindi la barca è affondata e sono morte 18 persone. Ce l’hanno tutti con me”.
L’uomo si occupava di far pervenire le retribuzioni agli scafisti e, quando qualcuno di loro veniva arrestato, di rassicurarli. “Né cinque né sei (anni, ndr). Adnen era così come te, è uscito l’altro ieri. C’erano tre o quattro ragazzi che l’avevano denunciato, è uscito l’altro ieri”, dice quando uno skipper lo contatta dal carcere di Catanzaro comunicandogli di essere stato condannato a cinque anni.
Il giro di affari
Che il traffico di migranti controllato da Khodir garantisse profitti elevati emerge da diversi elementi.
Uno dei componenti del gruppo, per esempio, sottolineava come tra gli skipper ci fosse anche chi aveva una lunga carriera alle spalle e non voleva saperne di smettere. “Sono quindici anni che fa questo lavoro, parte per la Grecia. Cosa vuole ancora? Perché non lascia il posto ad altri per guadagnare?”. Per skipper che sapevano il fatto loro, altri peccavano di ingenuità. “Saranno rimpatriati. Il tuo amico è stupido – dice lo stesso uomo a un connazionale – È rimasto attaccato al timone finché non è arrivata la motovedetta. Se vedi che la polizia sta arrivando, nasconditi fra la gente”.
In un’altra circostanza, è invece la moglie a commentare l’entità dei proventi. “Sono appena tornata da Damietta, ci siamo ritrovati seduti con tanti uomini e tanti soldi. Oggi ho visto cose che non avevo mai visto prima, ti giuro mi sono confusa – diceva parlando al telefono con il marito – Ho preso un tè, poi mi hanno dato i soldi. Era un ufficio di mafia e i soldi erano dappertutto, a sacchetti”.

