La Consulta ha dichiarato illegittimo l’articolo 4 della legge regionale n. 16 del 2017. Stabilito che non possono accollarsi responsabilità e costi per il servizio di gestione
TRAPANI – Una sentenza che risolleva le speranze dei Comuni trapanesi, che da tempo chiedevano giustizia.
Con la sentenza 231/2020 depositata venerdì 6 novembre, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 della legge regionale 16 del 2017, con cui i comuni siciliani venivano costretti a subentrare all’Ente acquedotti siciliani nella gestione del servizio idrico, prendendo in consegna le reti e gli impianti. Carenza di risorse finanziarie e tecniche hanno portato ad un rifiuto da parte degli Enti locali di subentrare e prendere in gestione il lavoro, cosicché il Governo Regionale ha deciso di inviare alcuni commissari per prendere in consegna le reti e proseguire dove i Comuni hanno posto un fermo.
Adesso, la sentenza numero 231 cambia totalmente lo scenario che da anni si prospettava e dà voce ai sindaci, che spesso devono far i conti con il bilancio comunale e non si possono permettere spese extra. In tale direzione, il sindaco di Erice, Daniela Toscano, esprime grande soddisfazione: “Ritengo che si tratti di un risultato soddisfacente. La Corte costituzionale, infatti, ha accolto il dubbio di illegittimità costituzionale che i Comuni di Buseto, Erice, Favignana, Castellammare, San Vito Lo Capo, Salemi hanno sollevato nei loro ricorsi.
I comuni non possono dunque essere obbligati dalla Regione Siciliana a svolgere un servizio onerosissimo in sua vece, peraltro dopo decenni di abbandono. Ora attendiamo con particolare fiducia il 15 dicembre quando tutti i ricorsi saranno discussi e decisi davanti al Tar che già finora per due volte ha accolto le nostre istanze cautelari di sospendere provvisoriamente gli atti di prepotenza della Regione. Un Governo Regionale che ha l’intento di lasciare la situazione nel disastro attuale, accollando i costi e le responsabilità ai Comuni”.
La Corte ha inoltre sottolineato “l’evidente contrasto con il principio costituzionale di correlazione tra funzioni e risorse e con il principio di equilibrio dei bilanci pubblici”, dal momento che si ‘obbligherebbero’ i Comuni ad assumere la gestione degli impianti e delle reti idriche senza correlare, a tale trasferimento, le giuste risorse finanziarie e umane. In tal modo, questo renderebbe “per l’Ente comunale impossibile la gestione del servizio, nel rispetto della propria autonomia finanziaria e dell’equilibrio del proprio bilancio”.