L’ipotesi di realizzare in provincia una discarica per le scorie nucleari ha provocato una dura reazione da parte di istituzioni, politica e semplici cittadini: “Numerose le controindicazioni”
TRAPANI – Una marcia da organizzare, la raccolta di firme da potenziare. Un solo obiettivo: gridare il no secco di un intero territorio all’ipotesi di realizzarvi il deposito nazionale di scorie radioattive che è nei programmi del Governo nazionale. Vanno smaltite, ma non certo nell’area di Calatafimi-Segesta: lì c’è un Parco archeologico famoso in tutto il mondo. E neanche nella frazione trapanese di Fulgatore, che ha fatto dell’agricoltura una scommessa di sviluppo in parte vinta.
In una provincia spesso divisa, quella di Trapani, il pericolo comune ha fatto scattare la solidarietà. Tanto, tantissimo dissenso. Istituzionale, espresso in una recente seduta aperta del Consiglio comunale del capoluogo. Motivato dal Comitato “Mai rifiuti radioattivi”. Spontaneo, di chi ha denunciato il rischio che si corre e rifiuta la logica dell’investimento: circa 900 milioni di euro più l’indotto. Le cose, al momento, stanno così.
I due siti trapanesi sono in compagnia di altri sparsi in giro per l’Italia. Erano – in una prima fase – potenzialmente idonei, dopo una scrematura sono nell’elenco degli idonei. C’è anche il sistema dell’autocandidatura se non si fa parte della lista o se si vuole rimarcare la disponibilità di un comune. Se ne occupa la Sogin che si presenta così: “Siamo la società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi”. I siti in questione devono rispettare diversi parametri logistici, tecnici e di sicurezza.
“Ed è qui che casca l’asino” afferma l’assessore all’Urbanistica del Comune di Trapani Giuseppe Pellegrino. Ci sono le carte in possesso del sindaco di Calatafimi-Segesta Francesco Gruppuso, che è stato anche a capo del Comitato. Il primo cittadino ha deciso di seguire le controindicazioni che stanno alla base dell’esclusione dei territori.
Non possono essere aree a rischio sismico
“Non possono essere aree a rischio sismico” ha sottolineato Gruppuso. Il terremoto del 1968 nella Valle del Belice è ancora un ricordo vivido nelle comunità locali. Ma non possono essere neppure aree vicine a Parchi archeologici. Segesta ha un Parco. Gruppuso ha inoltre aggiunto un altro elemento di contraddizione: “Non devono esserci produzioni agricole di pregio”. Nella zona dei due siti c’è l’imbarazzo della scelta: vino, olio, agricoltura biologica ed investimenti di qualità nel settore. Gli “idonei”, inoltre, non possono essere a poca distanza dalle aree industriali. “Quella di contrada Fegotto – ha ribadito il sindaco – è a due chilometri. Vi sono poi condizioni geotermiche e geologiche che vanno in tutt’altra direzione”.
Da aggiungere anche il rischio del trasporto delle scorie – arriverebbero via mare – e la mancanza di una relazione sull’impatto sanitario. Elementi che hanno portato Gruppuso a una sintesi: “Ipotesi sciagurata”.
La marcia e la raccolta firme per dire no ai siti trapanesi
Il suo assessore Massimo Fundarò ha indicato una terza via oltre alla marcia e alla raccolta delle firme: “Una catena umana per difendere i due siti”. Ha poi fatto ricorso alla storia: “Ricordiamoci delle nostre battaglie ambientaliste, come a Makari, che poteva diventare un Petrolchimico Eni come poi è toccato a Gela”.
Vicenda evocata anche da un’ambientalista storica di Favignana, Maria Guccione, che ha partecipato al Consiglio aperto e si è rivolta ai giovani: “Devono farsi sentire, così come facemmo noi quando si pensava alle ricerche petrolifere al largo delle Isole Egadi e ci ritrovammo con uno sversamento di petrolio. Furono necessari anni di lotta, ma nel 1992 il Parlamento mise fine a questo pericolo”.
Il sindaco di Trapani Giacomo Tranchida ha invece aperto il varco della carta bollata: “Chiederemo un accesso agli atti e siamo pronti a scendere in piazza. Non vorrei che facesse gola l’imminente escavazione dei fondali del nostro porto”.
Se non è un problema di numeri e di parametri è facile dunque che sia una questione politica. Un fronte che ha deciso di aprire la deputata regionale del Movimento 5 stelle Cristina Ciminnisi: “C’è una mia mozione, presentata qualche mese fa, che l’Ars deve discutere al più presto”.
E se è una questione politica il centrodestra, che sta al Governo a Roma come a Palermo, non poteva non farsi sentire. L’ha fatto con il presidente provinciale e consigliere comunale Maurizio Miceli. La sua premessa sui due siti trapanesi non poteva essere più chiara: “Forzatura ignobile”. Ha anche aggiunto di averne parlato con il ministro della Protezione civile Nello Musumeci, sottolineando che “da Presidente della Regione prese posizione insieme alla Giunta, dicendo no al deposito in Sicilia. Ho avuto ampie rassicurazioni. Ritengo che alla fine il pericolo possa essere scongiurato”.