Mezzojuso e le tre sorelle contro la “mafia dei pascoli” - QdS

Mezzojuso e le tre sorelle contro la “mafia dei pascoli”

Mezzojuso e le tre sorelle contro la “mafia dei pascoli”

venerdì 11 Dicembre 2020

L’imprenditore Damigella, che in passato ha sostenuto le donne: “Non capisco la rabbia contro di loro”. Anni dopo le prime denunce della famiglia Napoli, la situazione resta molto complessa

MEZZOJUSO (PA) – “La diffidenza del paese purtroppo non se la scrolleranno mai di dosso. Il contesto culturale e territoriale non le aiuta. Continuo però a non capire il perché di tanta rabbia”. L’imprenditore comisano Giovanni Damigella, intervistato dal Quotidiano di Sicilia, è tornato a parlare delle tre sorelle Napoli – Anna, Ina e Irene – che ancora oggi continuano a subire l’isolamento di un territorio soltanto perché hanno avuto il coraggio di denunciare la cosiddetta “mafia dei pascoli”.

Oramai sono passati anni da quando le tre donne hanno deciso di uscire dal silenzio e denunciare le angherie cui erano sottoposte, eppure il tempo sembra essersi fermato nel piccolo centro montano del palermitano. Appena un anno fa le sorelle Napoli, che gestiscono un’impresa agricola in paese, hanno subito gli ennesimi raid intimidatori. E si registrarono inoltre le ennesime invasioni da parte di mandrie di vacche, come documentato dalle immagini riprese dalle telecamere piazzate sul confine della proprietà delle donne con l’Istituto zootecnico.

“Ci sentiamo – ha detto Damigella, titolare di un noto marchio di pasta di grani antichi e di aziende che operano nel campo della lavorazione di marmi e graniti, che due anni fa per solidarietà acquisto dalle sorelle Napoli un grosso carico di fieno – siamo rimasti in contatto. Mi dicono che l’attività va avanti e stanno bene”.

“Credo che in paese – ha aggiunto l’imprenditore – abbiano sbagliato tutti: l’allora sindaco in testa, che avrebbe dovuto schierarsi con le tre sorelle senza se e senza ma. Io personalmente sono stato a Mezzojuso e ho notato in prima persona l’ostilità della gente quando parlava di queste donne. A mio parere hanno male interpretato le denunce fatte. Di certo non hanno detto che tutto il paese è mafioso. Hanno semplicemente sostenuto che esisteva un fenomeno mafioso e che pezzi delle istituzioni locali non li aiutavano come avrebbero invece dovuto. Cosa hanno detto quindi di sbagliato?”.

Damigella fece un’operazione dal grande clamore mediatico decidendo di sostenere queste imprenditrici sotto il tiro di Cosa nostra. Acquistò da loro un carico di fieno proprio per supportare l’attività zootecnica dell’azienda e lo fece in un momento in cui le tre sorelle sostenevano che nessuno da loro voleva comprare proprio perché l’obiettivo era quello di isolarle in seguito alle loro denunce.

Poco tempo dopo la presa di posizione delle sorelle Napoli, il Consiglio dei ministri decise lo scioglimento del Comune di Mezzojuso, in seguito all’ispezione sollecitata dall’allora prefetto di Palermo Antonella De Miro. Anna, Ina e Irene accolsero con soddisfazione la decisione dello scioglimento del Comune, sostenendo che questo non fosse altro che la conferma di quanto da loro già denunciato.

Tanti gli episodi che si sono susseguiti: intimidazioni e atti vandalici da parte della mafia che avrebbe voluto accaparrarsi le loro terre. In pratica, le sorelle Napoli sono state più volte “invitate”, per modo di dire, a cedere l’azienda ad altri, onde evitare problemi, nel silenzio e nell’indifferenza dell’intera comunità: soltanto Carabinieri e Magistratura hanno cercato di difenderle.

Intanto, al Tribunale di Termini Imerese è in corso il processo a tre accusati di aver organizzato una serie di raid nelle terre delle tre donne. Tra gli imputati spicca il nome di Simone La Barbera, figlio di Don Cola, storico capomafia legato a Bernardo Provenzano.

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