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Tredici ottobre embrione di pace

Tredici ottobre embrione di pace
Bandiera della pace

Il 13 ottobre segna un fragile inizio di pace in Medio Oriente

Un giorno felice. Sì, il 13 ottobre è un giorno luminoso, perché gli ostaggi, che non erano stati assassinati dai loro carcerieri sono tornati alla libertà, a casa ad abbracciare i loro cari, da un lato; mentre dall’altro, tanti detenuti e prigionieri sono stati scarcerati per tornare alla vita, ai loro affetti o all’esilio. E le armi hanno smesso di tuonare. Ma il 13 ottobre non è scoppiata la pace di cui parla nei suoi versi (Verrà un Giorno) Jorge Carrera Andrade, non è stato quel giorno più puro degli altri, in cui scoppierà la pace sulla terra come un sole di cristallo. È stato un giorno di compromessi ma di grande, felicità perché le armi hanno taciuto, anche se non del tutto. Ma questa, pace calata dall’alto, nelle parole dei leader delle opposte parti ha tanto la valenza e la sostanza di una tregua armata. Dal pulpito dei vincitori si è lodata la forza delle armi e il loro potere deterrente e dissuasivo, dalla opposta sponda di chi non ha vinto sul campo ma ha trionfato sul fronte della comunicazione, con il macabro gioco del computo delle vittime, sono cominciati i regolamenti di conti intestini, con nuova violenza e nuove morti.

Questo è l’embrione della pace contro cui da subito tanti hanno cominciato a rinfocolare le ceneri degli antichi rancori con la speranza mal celata che la fiamma della guerra si riattizzi. La felicità di questi giorni ha anche il nutrimento della saggezza popolare, che si esprime nel motto “Di poco si vive, di niente si muore”. Più di questa speranza gli accordi di Sharm el-Sheikh non potevano darci. E c’è voluto tutto l’impegno del presidente Usa, Donald Trump, che è riuscito a coinvolgere e ottenere il suffragio da tutti leader musulmani moderati della regione, oltreché dagli alleati Egitto, Qatar e Turchia. In tanti per chiudere questo capitolo straziante della storia del Medio Oriente. Significativamente non erano presenti i diretti contendenti: Benjamin Netanyahu, perché, a suo dire, impegnato nella celebrazione della festa religiosa di Simchat Torah (il dono della Torà), o forse secondo alcuni per evitare incontri, in questo momento inopportuni. Egualmente per l’altra parte mancava un leader veramente rappresentativo. È noto che ormai la presenza di Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese, non è certamente rappresentativo della gente che sta tornado nella Striscia di Gaza in questi giorni, perché vuole continuare a viverci. È moralmente deprecabile che questa gente possa essere rappresentata da Hamas, che li ha utilizzati impietosamente come scudi umani e li ha pure taglieggiati rivendendo loro, a borsa nera, i generi di sostentamento inviati dalla comunità internazionale.

Egualmente, nel rispetto del diritto internazionale e delle connesse esigenze di sicurezza, Hamas, come gruppo terroristico, ancora armato, non può candidarsi alla guida del futuro Stato di Palestina, quando sarà costituito sul piano organizzativo, amministrativo e politico. Tutto questo rende evidente come per i gazawi i vari riconoscimenti dello Stato virtuale di Palestina proclamati dai capi di Stato esteri, l’opera dei volenterosi della flottiglia e ancor più dei violenti delle manifestazioni di piazza siano stati di nessun giovamento. Ma questa è un’altra storia. Ora occorre necessariamente saper guardare al futuro e con grande impegno costruire la pace. Forse occorreranno generazioni, la Torah ci insegna che gli Ebrei liberati dalla schiavitù del faraone vagarono quarant’anni nel deserto per decontaminarsi dalle seduzioni del paganesimo e del vivere all’ombra delle divinità delle piramidi. Oggi quarant’anni forse sono anche pochi per depurarsi dal vissuto di violenza e di odio. In capo a ogni cosa è necessario affinché dal piccolo seme della pace nasca il grande albero della convivenza civile che non riappaiano per le vie del mondo coloro che Wislawa Szyborska, nei versi di conclusivi di una delle sue poesie (Gli Attentatori) descrive come coloro che “la sera guardano la luna e le stelle, si mettono gli auricolari con musica in sordina e dormono saporitamente fino all’alba – purché ciò che hanno in mente non si debba far di notte.”

L’embrione della pace è sorto il 13 ottobre, ora bisogna sperare e pregare che nessun malvagio nemico delle umanità metta le mani nella culla e poi le tragga grondanti di sangue.