Grandissima partecipazione questa mattina al piazzale Serafino Famà per la commemorazione per i trent’anni dall’assassinio per mano della mafia dell’avvocato al quale è intitolato il piazzale il 9 novembre del 1995 nei pressi di piazza Michelangelo.

L’evento commemorativo
All’evento hanno partecipato il sindaco di Catania Enrico Trantino, anche in qualità di familiare del compianto padre Enzo, venuto a mancare lo scorso anno e maestro dell’avvocato Famà, i figli di quest’ultimo e i familiari dell’avvocato Nando Sambataro, amico stretto dell’avvocato Famà non solo nel percorso di studi. Durante l’evento, che ha avuto inizio ieri al centro fieristico Le Ciminiere e voluto dalla Camera Penale di Catania, hanno avuto luogo gli interventi della figlia Flavia Famà, avvocato anche lei, e di altre personalità del mondo dell’avvocatura siciliana e catanese. Oggi è stata scoperta la nuova targa all’interno del piazzale.
Il figlio: “Mio padre ha combattuto contro l’illegalità in tutti i modi”
A margine dell’incontro il figlio Fabrizio Famà ha detto: “La prima mezza giornata l’abbiamo spesa ieri pomeriggio a Le Ciminiere attraverso il ricordo di tre figure oltre a quella di mio padre: l’avvocato Enzo Trantino, mentore di mio padre, e l’avvocato Sambataro, che è stato collega di mio padre di università e di lavoro. Quest’ultimo è stato un collega e amico fraterno, con il quale sono cresciuti insieme, anche dopo essersi sposati. Noi figli ci siamo ritrovati in questa famiglia allargata, composta da entrambe le famiglie. Tre vite che si sono intrecciate”. La figura del padre è stata ricordata così: “Mio padre ha combattuto contro l’illegalità in tutti i modi. Spesso si è portati a pensare che l’avvocato penalista sia un po’ il segretario e portaborse del mafioso, perché ha il compito di difendere i diritti di una persona imputata per reati di un certo livello per quanto riguarda il codice penale. Ma mio padre credeva nel diritto di difesa, che è garantito e sancito dalla costituzione. Lui si batteva per i diritti dei suoi assistiti, ma lo faceva affinché il processo avvenisse senza violare alcuna norma, regola, legge o articolo della costituzione”.
“Quindi lui non si piegava ai favori dei clienti come si è portati spesso a pensare per gli avvocati penalisti – ha concluso Fabrizio Famà -, bensì era uno che si batteva per la legge e per il diritto perché ci credeva. Tanto ci ha creduto da arrivare alla morte. Il ricordo è sempre molto forte e per noi familiari non si spegne mai, perché anche se sono passati trent’anni, sono trent’anni senza lui. Io ne avevo 20 quando lui è morto e adesso che ne ho 50 ho passato un periodo maggiore della mia vita senza lui. Purtroppo si è portati a pensare a fare questo bilancio quando subisci un lutto del genere. Io scandisco il tempo in un prima e dopo e mi chiedo se mio padre ha visto certe cose del passato o meno. Una delle targhe commemorative fu posta a un mese esatto dal suo assassinio, quindi quando ancora le indagini erano in corso. Il Comune di Catania prese quindi già all’epoca la decisione che mio padre andava considerato come una vittima innocente di mafia”.
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