Milano, 4 set. (askanews) – La Tenuta Rottensteiner prosegue il suo viaggio identitario nelle varietà storiche bolzanine, in particolare sul Lagrein, forse il più altoatesino dei rossi autoctoni e quello che la Cantina fondata nel 1956 da Hans Rottensteiner lavora da sempre con più capacità e visione. E proprio la visione è una delle caratteristiche del nuovissimo “Trigon Lagrein Gries Riserva 2022 Alto Adige Doc”, appena presentato a Milano. Per le 2.500 bottiglie votate alla fascia super premium (oggi segmento “obbligato” per le realtà vitivinicole del Sudtirol), Rottensteiner ha puntato sul vino nato nella culla storica di questo vitigno, Gries, ammansendone struttura, nerbo e le profondità più cupe del vecchio “Dunkel”, per arrivare ad un sorprendente rosso di alta gamma, pronto a soddisfare i palati più esigenti, diversi e internazionali.
Frutto di una selezione da una singola particella di uno storico conferitore, dove le viti di Lagrein di oltre 30 anni vengono coltivate a pergola e guyot, “Trigon” rispetta in pieno l’autenticità del vitigno ma al tempo stesso ne smussa le asperità, snellendo il corpo, addomesticando tannini e spingendone l’acidità, per ottenere così maggior verticalità e un equilibrio più netto che non fa percepire un tenore alcolico che sfora il 14%. Dopo la fermentazione in vecchie vasche di cemento, il vino affina per circa 12 mesi in 20-25 barrique (con il “taglio delle botti”), quindi prosegue la maturazione per ulteriori 18 mesi in bottiglia, dando vita ad un Lagrein moderno, più curato e ancora più elegante. Finezza che va a discapito di una succulenza rustica. Un progetto tanto ambizioso quanto riuscito, che deve il suo nome proprio alla forma triangolare della zona bolzanina di Gries, che prende vita anche sull’etichetta in un segno grafico essenziale che si staglia nell’oro. Un’essenzialità che richiama le rese molto basse (4.500 litri per ettaro) ma non la complessa dinamicità gusto-olfattiva che questo vino regala e che lascia immaginare un invecchiamento che supera il decennio.
Vitigno antico, nato bianco e oggi (soprattutto localmente) apprezzato anche come rosato (Kretzer), è stato per anni usato per dare forza e colore a vitigni più deboli. “Mio padre è nato nella zona classica del Santa Maddalena, mia madre a San Pietro e poi si sono ritrovati proprio nel mezzo, a Gries. Questo quartiere è la nostra patria, la terra alla quale siamo profondamente legati come famiglia e il Lagrein è radicato a Gries perché qui c’è tutto il necessario: un bel mix di porfido e granito, un terreno fertile che trattiene l’acqua, ed è irradiato dal sole” racconta Hannes che, insieme con la moglie Judith, porta avanti la Weingut fondata nel 1956 dal nonno Hans e sviluppata dal padre Anton, detto Toni, tutt’ora attivo in azienda.
“Erano tanti anni che Hannes lavorava separatamente una parte delle uve di questo vigneto (le altre confluiscono ancora nel “Lagrein Alto Adige Gries Riserva Doc” della linea Select) ma non era mai abbastanza soddisfatto del risultato, la 2022 lo ha convinto ed eccoci qui” ricorda Judith, mentre Hannes rimarca “che come accade spesso, tutto è partito da uno sbaglio: volevamo ridurre la quantità ma lo abbiamo fatto troppo e da 80 quintali per ettaro ce ne siamo trovati 60. L’ho vinificato separatamente e siamo riusciti ad equilibrare la spiccata tannicità emersa con la diminuzione delle rese, mettendolo in barrique ‘torbidissime’ dove è rimasto a contatto con i lieviti fini per un anno”. L’idea, natura permettendo, è quello di farlo tutti gli anni: “Il 2023 è già imbottigliato – precisa Hannes – il 2024 al momento è in barrique, il 2025, è un po’ precoce dirlo, dovremmo poterlo fare”.
“Prima degli anni Ottanta in Alto Adige si parlava di Schiava, di Santa Maddalena, di Caldaro e di Colli di Bolzano, che oggi è praticamente scomparso, e il Lagrein era principalmente rosato e usato per dare colore e struttura alla Schiava” prosegue il produttore, spiegando che “così i viticoltori di Gries erano i più poveri in assoluto dell’intera Regione perché dal Lagrein prendevano pochissimo, fino a che tre enologi, tra cui mio padre, si sono messi insieme e hanno deciso di puntare sul Lagrein. Si tratta di una varietà scura e molto tannica, così vigorosa e generosa che può produrre tranquillamente 250 quintali a ettaro, e riuscire a fare apprezzare una varietà che per la gente non aveva valore, non è stato facile fino a metà degli anni Novanta, quando c’è stata una vera e propria esplosione” continua Hannes, sottolineando che “negli ultimi 20 anni il Lagrein è stata considerato più importante della Schiava ma oggi il problema di questo vitigno è l’espansione immobiliare, dobbiamo difendere gli ultimi appezzamenti dai costruttori”.
“Papà non ha mai prodotto un Lagrein d’annata ma sempre e solo Riserve: una scelta che racconta la nostra visione e che oggi trova nuova espressione in ‘Trigon’” chiosa Hannes, ricordando che fin dalle origini la produzione della Cantina non si è basata solo sui vigneti di proprietà, ma anche sulla stretta collaborazione con una rete di conferitori locali, oggi una sessantina, la maggior parte dei quali in un raggio di circa dieci km sul territorio di Bolzano, con vigne che vanno quindi dai 260 metri a salire.
La produzione si aggira sulle 400mila bottiglie, scandite nelle linee “Kitz”, “Classic”, “Cru” e “Select”, a cui si aggiunge un classico come il “Gewurztraminer passito Cresta Alto Adige Doc” e, da oggi, naturalmente anche il “Trigon”. La filosofia produttiva è centrata sui monovarietali autoctoni e sul legame con il territorio porfirico di queste montagne (che alla famiglia “Rossapietra” ha dato il nome), in primis Lagrein, Santa Maddalena e Pinot Bianco. Qui contano i Masi e le menzioni “Vigna”, mentre per le vinificazioni è scontato l’acciaio per i bianchi, e cemento e legno (barrique e botti grandi) per le selezioni rosse, così da lasciare esprimere il carattere varietale e la provenienza, validato dal maestoso stambecco dello stemma di famiglia. (Alessandro Pestalozza)

