L'assessore regionale alle Attività produttive, al processo Arata per corruzione, ha ammesso di essere stato socio 30 anni fa di Vito Nicastri.
Ha ammesso di essere stato socio, 30
anni fa, di Vito Nicastri, imprenditore trapanese ritenuto tra i finanziatori
del boss Matteo Messina Denaro, e di aver ricevuto da lui un
finanziamento di 10mila euro per la campagna elettorale del 2001.
L’assessore regionale alle Attività
produttive Mimmo Turano ha deposto al processo all’ex consulente della
Lega Paolo Arata, imputato di corruzione e intestazione fittizia di beni
davanti al tribunale di Palermo, insieme al figlio Francesco Paolo, al
dirigente regionale Alberto Tinnirello e all’imprenditore milanese Antonello
Barbieri.
Il processo, celebrato davanti alla
quarta sezione del tribunale di Palermo, nasce da un’inchiesta che portò
in carcere l’imprenditore Vito Nicastri, che ha patteggiato una condanna a due
anni e 10mesi sempre per corruzione e intestazione fittizia di beni, il figlio
Manlio, che rispondeva degli stessi reati, e che ha patteggiato a due anni, gli
Arata e alcuni funzionari regionali.
Al centro del processo un giro di
tangenti pagate per avere le autorizzazioni per la realizzazione di due
impianti di biometano a Francoforte e Calatafimi che Arata e il suo socio
occulto Nicastri avrebbero voluto costruire.
Turano non ha negato la vecchia conoscenza con Nicastri con cui avrebbe anche
fatto un viaggio in Tunisia su un aereo privato di un amico. E alla domanda sui
chi avesse pagato ha risposto: “figuratevi se pagavo io”.
Rispondendo alle domande del pm Gianluca De Leo, Turano ha raccontato
dei suoi rapporti con gli Arata. “Fui chiamato da Gianfranco Miccichè che
mi disse di andare da lui all’Ars – ha raccontato – Lì trovai il figlio di
Arata che mi parlò dell’impianto di biometano da realizzare a Calatafimi, io
dissi che non ero interessato perché già in occasioni pubbliche, condividendo
le prese di posizioni di miei colleghi di partito che avevano perplessità dal
punto di vista ambientale, avevo detto che non avrei sostenuto la cosa”.
Un punto della deposizione, questo, su cui la versione di Turano cozza con quella del presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè che ha raccontato che Turano gli avrebbe detto, in quell’occasione, che in quell’affare c’era gente che non gli piaceva, riferendosi evidentemente a Nicastri. “Mesi dopo incontrai Arata padre – ha invece detto Turano – che si lamentava delle lungaggini nell’iter di approvazione dei progetti presentati e fu lui a dirmi che forse il ritardo era dovuto al fatto che Nicastri (che aveva già problemi con la giustizia, ndr) era suo consulente. Solo allora ne parlai con Miccichè”.
Turano ha sostenuto di aver saputo solo dai giornali delle vicissitudini giudiziarie dell’imprenditore e dei gravi reati di cui era accusato. Su domanda del presidente del tribunale Bruno Fasciana ha esplicitato di riferirsi alle accuse di mafia. “In queste aule si esitava nel pronunciare la parola mafia molti anni fa”, ha commentato il presidente davanti alle titubanze del teste.
Turano ha raccontato di aver detto esplicitamente ad Arata di non avere intenzione di sostenere il suo progetto. Il pm ha però contestato all’assessore il testo dell’intercettazione della conversazione con il faccendiere in cui il politico diceva: “Fammi verificare, se sei uno che investe, che paga i dipendenti, che rispetta l’ambiente io non ti romperò i c… Tu non sei un francescano e neppure io”. “Erano frasi di circostanza”, ha risposto il teste.