Chi urla non ha ragione
Non è la prima volta e non sarà l’ultima che nel nostro Parlamento uscito dalla guerra, deputati e senatori perdano la calma o facciano finta di perderla e comincino a urlare, magari insultandosi. Ricordiamo per esempio il povero (perché defunto) Nino Strano, quando esibì la mortadella indicando metaforicamente l’allora presidente del Consiglio, Romano Prodi.
Abbiamo assistito in questi giorni a urla schizofreniche anche di leader di partito, come Elly Schlein, alla quale non è stata da meno nel rispondere la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Lo spettacolo non è certo consono a un’istituzione come il Parlamento e, non meno importante, vi è la regola aurea che chi urla non ha ragione, anche perché quest’ultima si afferma da sola senza il bisogno di alzare i toni.
Inoltre va ricordato – non lo facciamo certo per la prima volta – che chi dice la verità non è l’artefice dell’eventuale puntura, la cui responsabilità è della verità stessa.
Il quadretto che vi abbiamo disegnato ci porta all’Unione europea, la quale ci sembra che tradisca il Patto di Roma del 1957, quando le sei nazioni fondatrici (Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo) si unirono con la prospettiva di percorrere una strada che portasse a farli diventare un’unica cosa.
Ma dal 1957 a oggi tutti i passaggi successivi che vi sono stati non hanno portato a raggiungere l’obiettivo prospettato dai sei costituenti, anche per la responsabilità dei successivi presidenti di Commissione che hanno allargato smisuratamente e in modo non omogeneo i confini dell’originaria Unione, mettendo insieme popoli diversi tra loro, che oggi sono il lato più debole dello scenario, in quanto sono rimasti talmente disomogenei da impedire la vera unione.
Cosicché, sorge spontanea l’osservazione che l’attuale Ue tradisca lo spirito e la lettera del Patto di Roma, in quanto le divisioni sulle questioni essenziali sono palpabili da tutta l’opinione pubblica europea, cioé dai 445 milioni di abitanti.
Per fortuna, dodici Paesi sono riusciti a mettersi d’accordo per fare la moneta unica (l’Euro), entrata in vigore il primo gennaio del 2002 e oggi adottata da venti Stati membri. In quell’occasione il nostro primo ministro, il grande banchiere Carlo Azeglio Ciampi, dovette sacrificare il rapporto fra lire ed euro stabilendolo a 1.936,27. Quella decisione penalizzò la lira, ma rafforzò il sistema monetario europeo.
Purtroppo, la Commissione non ha successivamente proposto di riunire altre materie fondamentali, come quella fiscale per esempio, per cui oggi all’interno dei Ventisette vi sono almeno tre paradisi fiscali: Lussemburgo, Olanda e Irlanda.
Queste tre nazioni fanno pagare imposte sul reddito delle società molto basse, con la conseguenza che esse scelgono di collocare la sede fiscale in quei tre paradisi, con ciò penalizzando i loro Paesi d’origine. Esempio per tutti: la Fiat che si andò a collocare nella borsa di Amsterdam.
La Commissione avrebbe dovuto da decenni proporre l’unificazione del sistema fiscale per evitare questi privilegi inaccettabili per un complesso di Paesi che vogliono davvero formare un’Unione.
Poi vi è la materia delle Pubbliche amministrazioni, le quali funzionano – si fa per dire – ognuna per conto proprio, con regole diversissime e quindi con servizi erogati a cittadini/e e imprese non paragonabili. La conseguenza di questa mancata attuazione di una sorta di omogeneizzazione del sistema fiscale è che anche in questo settore vi sono figli e figliastri, cioè cittadini/e e imprese dei ventisette Paesi che non hanno le stesse condizioni di mercato sotto il profilo fiscale, per cui scelgono di collocare i loro sistemi produttivi secondo convenienza.
Per esempio, molte imprese hanno insediato i loro stabilimenti in Romania, ove il costo del lavoro è molto più basso e il sistema fiscale agevola chi arriva a portare ricchezza. Altro esempio è la Polonia, ove la ex Fiat ha dei grossi stabilimenti che producono ottimi veicoli a costi molto più bassi. Lo stesso dicasi di Renault, con la Dacia.
Prossimamente vi faremo altri esempi della disunità europea.