Scusate se torniamo per l’ennesima volta sull’argomento, ma lo facciamo perché intendiamo contrastare l’andazzo, cominciato nel lontano 1968, secondo cui le professoresse e i professori universitari dovevano dare il diciotto politico e le insegnanti e gli insegnanti di scuola il sei politico.
Da quel momento in poi è cominciato il declino del nostro Paese, perché l’accantonamento dei valori, fra cui il merito, ha portato a quei disvalori che oggi sono molto diffusi. Per conseguenza, sono fortemente diminuiti, nelle attività svolte da ciascuno di noi, la passione e il sentimento necessari per lavorare bene e servire coloro che utilizzano i frutti del nostro lavoro.
La situazione si è via via degradata e oggi siamo forse in fondo al barile, perché i responsabili delle istituzioni in questi quasi sessant’anni non hanno tentato di invertire tale sciagurata tendenza al ribasso. Anzi, l’hanno favorita continuando a concedere, concedere e concedere, per cui il lassismo si è generalizzato.
Per fortuna, il sistema delle imprese e quello professionale hanno retto, mentre è crollato il mondo delle Pubbliche amministrazioni (centrale e locali) perché – l’abbiamo scritto più volte – partiti e candidati hanno perso gli ideali e con essi il senso civico del sacrificio e la voglia di lavorare intensamente per l’interesse generale.
Molti dei rappresentanti delle istituzioni – fatte le debite eccezioni, che ci sono e non sono poche – tendono ad acquisire il consenso giorno per giorno, ma così operando non sono in condizione di progettare e attuare piani strategici decennali o quindicennali, di cui il Paese ha fortemente bisogno.
Fra i bisogni del nostro Paese quello primario è la crescita complessiva delle otto Regioni del Sud, che oggi costituiscono una palla al piede per tutta l’Italia ma che, invertendone il funzionamento, potrebbero diventarne la locomotiva.
Nel Sud, un’attività importante è quella turistica nel suo complesso, poi vi è quella energetica e anche il mondo delle imprese si muove discretamente, ma poi si blocca quando ha rapporti con le varie Pubbliche amministrazioni, che lo rallentano oltre misura.
Abbiamo avuto conferma dall’egregio ministro della Pa, Paolo Zangrillo, che inserirsi nel sistema composto da 3,2 milioni di italiane e italiani, che si occupano della Cosa pubblica, è un’impresa improba perché colà vige la mentalità secondo cui si va a lavorare per far trascorrere il tempo e ciò perché, lo ripetiamo, manca un’organizzazione, come si usa fare in molte altre Pubbliche amministrazioni d’Europa (Germania e Francia in primis), nelle quali contano i risultati. Questi ultimi sono la misura delle capacità, delle competenze, della volontà e dei sacrifici di chi lavora.
Sia nel pubblico che nel privato bisognerebbe assicurare a tutti, cittadine e cittadini, il punto di partenza iniziale, come nelle gare sportive, ma subito dopo bisognerebbe lasciare liberi i competitori di esprimersi al meglio, per cui necessariamente si formerebbe una graduatoria e una classifica che vedessero ai primi posti i più bravi e le più brave e via via, agli ultimi posti, gli incapaci.
Nella graduatoria che precede non ci sarebbe una valutazione di tipo umano, ma una semplicemente di merito, perché è necessario che chi vale di più riceva di più e chi vale di meno si accontenti.
Ma sia ben chiaro, nessuno è condannato a valere di meno. Se si trova in fondo alla classifica è perché non ha messo nel proprio modo di vivere la necessaria forza e tutti gli ingredienti necessari per acquisire competenze e quindi diventare competitivo, sia nel versante economico che in quello sociale.
Non è che alcuni sono bravi per disposizione divina; ognuno può e deve decidere nella propria vita se essere bravo o essere asino. Ma poi, in quest’ultimo caso, non si deve lamentare né pretendere compensi superiori alle proprie capacità.
È stato proprio questo livellamento verso il basso, che prima abbiamo ricordato coincidente col 1968, che ha portato il nostro Paese a una condizione sostanziale negativa. Una conseguenza, ripetiamo, è il gap sempre più grande tra Nord e Sud.
Non vediamo, per il momento, un cambiamento di rotta, né di questo Governo, né di quelli che l’hanno preceduto negli ultimi trent’anni.

