Quante Quante cose in comune mi sembra di scorgere tra la nostra generazione e quella del racconto biblico della Torre di Babele. I protagonisti del noto episodio (Genesi, I, 1 -15) sono gli uomini venuti al mondo dopo il diluvio universale, sanno che nella storia dell’umanità sono un capitolo nuovo, sono comparsi sulla scena dopo una tremenda manifestazione dell’ira di Dio, eppure non si sentono intimoriti dal ricordo di un così grave evento. Egualmente noi uomini del XXI secolo, che ci siamo lasciati alle spalle due conflitti mondiali, che hanno fatto molte più vittime di quanto se ne possano desumere dalla catastrofe biblica, abbiamo, in fretta, dimenticato quanti lutti e sofferenze possa generare la guerra. Basta ascoltare le parole di alcuni leader dei più importanti Stati del panorama mondiale, per avvertire come costoro spudoratamente inneggiano, sempre più di frequente ed in modo esplicito al potere delle armi. Hanno ripreso i test nucleari, con un macabro déjà vu delle armi segrete di Hitler.
L’episodio della Torah, che ricordiamo, ci mette al cospetto di un antico ma sempre attuale male dell’umanità, il desiderio di dominio su tutto e su tutti. Finito il diluvio e tornati a moltiplicarsi, gli uomini a seguito di migrazioni dall’ Oriente si trovarono in una grande valle della terra di Shinnar, si accorsero di avere lo stesso linguaggio e che usavano le stesse parole, allora per orgoglio e desiderio di non disperdersi sulla terra si applicarono con passione, utilizzando il meglio della tecnica delle costruzioni in quell’epoca conosciuta, per edificare una grande città che li accogliesse, che chiamarono Babele, al cui centro cominciarono a costruire un’alta torre che nei loro desideri doveva arrivare sino al cielo. Orgogliosi di quanto stavano realizzando sentirono la necessità di darsi un nome, per non confondersi con gli altri uomini. Gli antichi Maestri hanno raccontato, pure, che costoro, insorgendo contro l’Eterno, ebbero in animo di collocare sulla sommità della torre un idolo, con una spada in mano, affinché desse l’impressione che sfidasse il Cielo. Dio, resosi conto di tutto ciò, scese tra di loro, ne confuse le lingue e li disperse per il mondo sedando per sempre questa impennata di superbia.
Oggi la bramosia di supremazia è sotto i nostri occhi e non è minore rispetto a quella manifestata dagli abitanti di Babele, e mi riferisco anche all’ossessione di immortalità che colpisce molti potenti e anche alcuni dei più noti capi di Stato, in ultimo, confermata da quanto accaduto nel corso della visita del tre settembre scorso di Vladimir Putin a Pechino, durante l’incontro con Xi Jinping, quando a causa di un microfono, forse involontariamente lasciato aperto, è stata catturato un frammento della conversazione, in cui i due leader, compiacendosi vicendevolmente della loro buona salute, aggiungevano che i trapianti di organi ripetuti, ormai, garantiscono una vita lunghissima, quasi l’immortalità. Questi attempati signori non sono i soli a coltivare l’aspirazione ad una lunghissima vita; ormai in più parti del mondo, non sono pochi che hanno fatto ricorso alla crioconservazione del proprio corpo, nella speranza di poter tornare in vita in tempi migliori, per assicurarsi, al risveglio una esistenza senza fine. Non mi riferisco soltanto a costoro giacché le illusioni, se non danno l’immortalità, comunque aiutano a vivere. Alludo a tante altre cose di maggiore interesse Collettivo ed in capo a tutte alla circostanza che abbiamo assistito alla scomparsa dalla scena della politica internazionale di quei principi che erano cardini della civiltà giuridica, comunemente accettati e condivisi in occidente, per la cui affermazione, nel novecento, si è combattuto ed anche per questo sembravano irrinunciabili. Allo svuotarsi, negli stati democratici, del confronto politico, per lasciare sempre più spazio e potere al gruppo dominante che vede nella controparte non avversari bensì nemici, a cui se possibile va tolta ogni forma di manifestazione del pensiero. Con la diretta conseguenza che la potenza economica o militare a far ciò che si vuole senza neanche dover ricorrere alla ipocrisia delle giustificazioni d’occasione e delle falsità.
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