Una proposta per ripartire: Pmi del Nord operative al Sud - QdS

Una proposta per ripartire: Pmi del Nord operative al Sud

Una proposta per ripartire: Pmi del Nord operative al Sud

mercoledì 29 Aprile 2020

L’idea: spostare la produzione nel Mezzogiorno meno colpito dalla pandemia per rimettere in moto l’economia. Un’opportunità anche per dare nuova vita alle tante zone industriali e artigianali dismesse del Meridione

di Raffaele Tregua

PALERMO – In molti stiamo pensando al “dopo”, diciamo che nulla sarà più come prima, ma nessuno vuole ammettere, anche solo per scaramanzia, che, molto probabilmente, sarà peggio di prima. Non entro in questo merito, oggi, perché voglio soffermarmi su un’idea che può diventare proposta operativa economica (sia di politica economica che di economia industriale), in pochissimo tempo. È fuor di dubbio che il Mezzogiorno non ha subìto la stessa onda devastante di contagi, come al Nord e che il picco sia stato raggiunto e superato, anche perché la quantità di persone residenti al Nord per studio e/o lavoro rientrate precipitosamente attorno al 10 marzo, è qui da oltre 20 giorni e possiamo presumere che la quarantena sia stata conclusa, nella maggior parte dei casi, senza sconquassi.

Il prolungamento dell’auto-isolamento per altri 20 giorni, e forse più, può, inoltre, creare problemi sociali rilevanti. Ritengo, insomma, che le regioni del Sud potrebbero procedere ad una riapertura graduale senza dover necessariamente attendere che lo facciano le aree del Nord, pesantemente colpite e la cui classe imprenditoriale fa ormai pressioni lobbistiche sempre più evidenti, anche se irragionevoli, perché teme di perdere consistenti fette di mercato.

Nel Meridione d’Italia ci sono tante zone industriali e artigianali che sono ormai un deserto: capannoni già pronti all’uso, almeno nelle opere murarie e pertinenziali, abbandonati, strade dissestate, soldi pubblici (molti, moltissimi) buttati al vento in 70 anni di sprechi insensati e corrotti. Penso alle zone industriali di Catania e a quella palermitana di Brancaccio e a molte aree artigianali create negli anni 80/90, ma penso pure a tutte quelle aree industriali che vennero costruite nelle zone del terremoto dell’Irpinia o in Puglia o in Calabria e mai sono entrate in attività. Insomma, vi sono nelle nostre regioni più disastrate manufatti di edilizia industriale che aspettano solo di esser messi in funzione e, fino a due mesi fa, mai ci si sarebbe sognato che si aprisse un’opportunità di uso concreto e immediato per essi. Ebbene, il virus ce la fornisce, questa opportunità.

I Presidenti delle varie regioni, a cominciare da quello siciliano, potrebbero offrire questi capannoni in comodato d’uso gratuito per almeno un anno (facendo opportuni accordi con i proprietari degli stessi – mafiosi a parte – che non ricevono, attualmente, alcuna rendita), agli imprenditori del Nord (solo ai piccoli e medi, però), perché, dopo una minima e rapidissima ristrutturazione di detti manufatti contemporaneamente al rifacimento delle infrastrutture (strade, linee elettriche, recupero interporti già esistenti, ecc…), trasferiscano qui i loro macchinari essenziali per la ripresa delle loro produzioni, trasferendo anche le maestranze che, nella maggior parte dei casi, sappiamo sono di origine meridionale e sarebbero ben liete, quindi, di rientrare “a casa”.

Dovrebbero inoltre essere offerti ordinari incentivi (già esistenti nelle varie leggi di agevolazioni per l’industrializzazione del Mezzogiorno – nessun bisogno di legislazione ad hoc) al costo dell’energia e dei servizi necessari alla produzione e quelli relativi al costo del lavoro. Per le risorse finanziarie necessarie a questi imprenditori “coraggiosi”, si devono utilizzare i crediti approntati nell’ultimo decreto dedicato alla ripresa economica (200+200 mld). Si potrebbe finalmente cominciare ad utilizzare il porto di Gioia Tauro per i trasporti via mare anche su rotte internazionali, facendo seria concorrenza a Rotterdam.

Si potrebbe, addirittura (sogno dei sogni) ripensare – medio tempore – all’attraversamento stabile dello stretto di Sicilia (uso questa dizione, perché sono e resto convinto della prevalenza tecnica, economica ed ambientale del ponte sommerso o del tunnel, invece che dell’orribile e pericoloso ponte) per incentivare i trasporti ferroviari veloci in Sicilia (in questo caso, sì Tav!). Sulla tempistica (ripeto, mi riferisco a realtà imprenditoriali piccole e medie – fra 5 e 50 dipendenti o poco più), basta ricordare a quanti casi scandalosi, quasi di cronaca nera, abbiamo assistito in questi anni, di fabbriche letteralmente svuotate in una notte per trasferire tutti gli impianti in altri paesi Ue (Bulgaria, Romania, Moldavia, ecc…) a costo del lavoro decimato rispetto al nostro.

Se ciò è cronaca reale, con la finalità da noi proposta, lo stesso spostamento potrebbe essere realizzato in pochi giorni e significare un nuovo inizio per tutto il Mezzogiorno (pensate anche all’indotto necessario ed alla manodopera da integrare a quella fissa). Nessuno o pochi problemi per quanto riguarda le vendite dei prodotti, ora “made in Sud”: stiamo infatti parlando di aziende già presenti ed avviate sui mercati di riferimento e con un portafoglio ordini già pieno, anche sui mercati internazionali e che rischiano il fallimento per non poter consegnare i loro prodotti già venduti. Insomma, un’operazione da realizzare, veramente, nel giro di pochi giorni.

Naturalmente, ci sono un mucchio di dettagli operativi necessari a riempire in modo efficiente ed efficace questa proposta; ne sono consapevole e credo che un piano industriale in tal senso potrebbe essere realizzato, senza bisogno dei soliti soloni. Certo, l’idea potrebbe esser considerata impropria, inopportuna e irrealizzabile dal mondo politico in generale, a cominciare dai partiti di sedicente sinistra (il m5s potrebbe finalmente mostrare di che pasta è fatto), ma anche dai vari partiti politici che hanno il loro vero bacino elettorale al Nord e qui al Sud hanno trovato disperati o mediocri opportunisti che, non sapendo più a che santo votarsi, hanno aperto anche ad essi (non mi riferisco solo alla Lega, ma anche a Forza Italia, per diverse ragioni ai più note, legate al suo Capo), però in FdI conosco alcuni che mi sembrano operare in buona fede. Operazione completamente trasversale, quindi, dal punto di vista partitico.

Questa sarebbe, insomma, una cartina tornasole per vedere chi vuole realmente dare un contributo, forse modesto, ma concreto per risolvere la secolare questione meridionale, partendo dal basso, con un progetto subito operativo e cantierabile.

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