Una situazione sempre più complessa all’interno del Carcere di Barcellona PDG - QdS

Una situazione sempre più complessa all’interno del Carcere di Barcellona PDG

Una situazione sempre più complessa all’interno del Carcere di Barcellona PDG

venerdì 20 Settembre 2019

Sempre più concreta l’ipotesi di un ritorno nella Casa circondariale dello psichiatra Rosania. Il recente suicidio di un 25enne è l’ultimo, grave, campanello d’allarme legato alla struttura

BARCELLONA POZZO DI GOTTO (ME) – Una situazione sempre più complessa, che si protrae da tempo e a cui, fino a ora, non si è riusciti a trovare delle soluzioni concrete.

Il suicidio di lunedì del ragazzo di 25 anni che si trovava da qualche settimana in osservazione nell’Articolazione per la tutela della salute mentale del Carcere di Barcellona è l’ulteriore segnale che qualcosa in quella struttura non funziona. C’è l’allarme lanciato dal Garante dei detenuti Giovanni Fiandaca, da padre Pippo Insana, ex Cappellano dell’Opg e presidente della Casa di solidarietà ed accoglienza, e da Lillo Italiano, delegato nazionale del Cosp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Tentativi di suicidio, aggressioni agli agenti e tra detenuti, autolesioni, si ripetono ormai da mesi e convivono con l’insoddisfazione del personale per le crepe organizzative e l’insufficiente numero di agenti in servizio.

In questo clima è maturata l’ipotesi di fare tornare alla direzione della Casa circondariale di Barcellona Nunziante Rosania, psichiatra, con una lunga esperienza nella struttura quando era Opg. L’attuale direttrice Romina Tajani ha infatti chiesto il trasferimento che si dovrebbe concretizzare a ottobre. “Si sta valutando il mio rientro – ha affermato Rosania – non si sa ancora in quale forma e per quanto tempo. La cosa non mi alletta particolarmente, perché se non cambiano alcune cose fondamentali, in questo Istituto si corrono dei rischi enormi per i detenuti e per il personale”.

La proposta è stata fatta dal capo del personale del Dipartimento a Roma, adesso si attende la decisione finale e l’ufficialità. Un ritorno che avevano evocato in molti a Barcellona. “È una situazione oggettivamente difficile – ha affermato Rosania- vanno cambiati alcuni aspetti sia nell’organizzazione dell’Atsm, che nell’interlocuzione con l’Asp. Si dovrà ragionare anche in sede assessoriale per fare destinare risorse adeguate e dare un cambio radicale”.

All’Assessorato alla Sanità si dovrebbe anche ultimare quel protocollo su cui da lungo tempo si discute invano per dare delle direttive univoche alle Atsm. “Teniamo anche presente – ha precisato lo psichiatra – che una recente sentenza della Corte costituzionale dice che i detenuti con patologie psichiatriche vanno curati in contesti che non siano di carcerazione”.

In ogni caso, nella gestione della Casa circondariale di Barcellona ci sono due istituzioni che sembrano avere evidenti difficoltà di dialogo: l’Amministrazione penitenziaria, che si occupa della custodia, e il sistema sanitario regionale che con l’Asp gestisce la cura con competenze specifiche sull’Atsm, l’ottavo reparto. Qui ci sono circa sessanta detenuti provenienti da vari Istituti che hanno problemi psichiatrici sopraggiunti in regime carcerario.

Dovrebbe essere così perché in realtà qui vengono mandati anche detenuti in osservazione oppure con sentenza definitiva, in alternativa alle Rems. In questo momento, per esempio, ci sono due cittadini stranieri trovati su un mezzo pubblico senza biglietto che hanno reagito al controllo. Non si è riusciti a raggiungere alcuna intesa tra Asp e Amministrazione penitenziaria.

Un’Articolazione, quindi, che è un ibrido, con nessuna linea guida sul numero massimo di ristretti né sulle modalità di accesso. Lo sono anche le altre in realtà, nate nei vari istituti italiani: l’anomalia è che solo Barcellona è arrivata ad ospitare nell’ottavo reparto più di ottanta detenuti psichiatrici. In tutte le altre strutture carcerarie i posti sono quattro o al massimo dieci. A Barcellona, dietro l’etichetta dell’Articolazione, restano quindi le logiche da Opg.

“Alla base del disagio – ha affermato padre Pippo Insana – non c’ è la carenza di personale di vigilanza o sanitario, ma una gestione sbagliata. Le persone detenute con patologia psichiatrica vivono chiuse dentro la sezione, mancano le relazioni, l’attività riabilitativa e occupazionale. Ci sono precise responsabilità della Sanità e dell’Amministrazione penitenziaria, che pur conoscendo la situazione insostenibile non intervengono. A monte ci sono poi le carenze della Salute Mentale del territorio, che non fornisce quei servizi previsti dalla normativa”.

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