Parla Alberto Giovanni Biuso, professore del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Unict. “Il modo nel quale viene gestita questa crisi sanitaria è da irresponsabili”
CATANIA – Mentre il Paese si prepara gradualmente a ripartire dopo il lockdown, si accende il dibattito su povertà e diritti dei cittadini. In un’intervista al QdS, Alberto Giovanni Biuso – professore del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Unict, dove insegna filosofia teoretica, filosofia della mente e sociologia della cultura, ma anche collaboratore, redattore e membro del comitato scientifico di numerose riviste italiane ed europee e direttore scientifico di Vita pensata – spiega le possibili ripercussioni dell’emergenza sanitaria sulla politica e sulla vita sociale. Le sue analisi sui temi contemporanei sono disponibili su: www.biuso.eu/category/brachilogie/. Per ulteriori riflessioni su scienza e politica, invece, il docente ha realizzato con altri studiosi un sito (www.corpiepolitica.it) per affrontare le possibili inefficienze della classe dirigente e i rischi futuri connessi.
Le ripercussioni del Coronavirus sembrano essere andate ben oltre l’emergenza sanitaria. Tra le tante conseguenze, una povertà ormai troppo diffusa. Lei crede che la nuova crisi economica, diventata pure occupazionale, possa favorire l’insorgenza di rivolte sociali? È possibile, invece, un risvolto positivo per la coscienza umana e un rifiorire della cultura in tutte le sue forme?
“Io temo che non ci sarà alcuna insorgenza, alcuna rivolta, quando invece la situazione lo meriterebbe. Il modo nel quale infatti viene gestita questa crisi sanitaria, particolarmente in Italia, è da irresponsabili, da – come ha scritto Concita De Gregorio– ‘un gruppo di dilettanti allo sbaraglio che procede a tentoni battendosi pacche sulle spalle nella letizia di essere ancora in carica grazie al virus’. È così difficile capire che si muore di Covid-19 ma si muore anche di depressione, solitudine e soprattutto di miseria? Quante persone si stanno ammalando di stress, di reclusione, di angoscia, di disperazione economica? Questa non è salute? Ho contatti con studenti e colleghi di tutta Europa e mi riferiscono di attività economiche ridotte ma non sprangate, di parchi pieni di persone -pur se ragionevolmente distanziate-, di passanti, runner e cittadini ai quali nessuno vieta di muoversi per le strade, tantomeno con ‘autocertificazioni’. Evidentemente una chiusura totale come quella italiana è un caso assai particolare. E non è affatto vero che venga presa come ‘esempio’ da altri Paesi, questa è la velina della presidenza del Consiglio che viene diffusa da un’informazione semplicemente vergognosa. Questi altri Paesi vogliono ammalarsi? Sottovalutano il rischio? Non credo. Sono soltanto più ragionevoli. Da una situazione come quella descritta non credo pertanto che scaturiranno conseguenze positive per la coscienza e la cultura. Semmai, si può sperare che stiamo diventando un poco più consapevoli dei limiti di un sistema economico, alimentare, sociale fondato sull’estremismo liberista, sul dominio della finanza e soprattutto sulla distruzione della sanità pubblica”
Il lockdown e tutte le misure di sicurezza “anticontagio” hanno indubbiamente aumentato le “distanze sociali”, forse non solo fisicamente. Lei crede che in futuro gli emarginati possano finire per esserlo ancora di più?
“Non nel futuro ma già dal presente. Le società umane sono infatti organismi assai complessi, che hanno bisogno di condizioni molteplici e profonde per mantenere la coesione sociale. Il terrorismo del governo, dei medici e virologi che dicono tutto e il suo contrario, della televisione e della stampa, sta dissolvendo la fiducia reciproca, generando fenomeni collettivi di delazione, diffidenza, panico. Una società di individui impauriti è facile da sottomettere, come il nazionalsocialismo – tra gli altri– ha ampiamente mostrato”.
Per la fase 2 molti scienziati suppongono l’esigenza di App che consentano la tracciabilità dei cittadini. Lei crede che tutto questo sia ammissibile – al fine di tutelare il diritto alla vita di cui parlano i filosofi contrattualisti e che sarebbe alla base della stessa democrazia – o che celi un tentativo di controllo sulla popolazione da parte di chi detiene il potere?
“No, non credo che sia ammissibile. Lo ritengo anzi estremamente pericoloso. Allo studio del Politecnico di Torino si possono contrapporre molti altri dati e analisi che mostrano, ad esempio, il grave conflitto di interessi tra decisori politici, aziende informatiche e aziende farmaceutiche. Interessi volti sia al permanere del clima di panico collettivo sia all’utilizzo di strumenti software di controllo pressoché totale. Come lei accenna, regaliamo ormai i nostri dati con estrema facilità a gruppi e aziende di tutti i generi. Gli strumenti di tracciamento dei quali si parla in queste settimane estenderanno a macchia d’olio una sorveglianza della quale non sono chiare le modalità, i limiti, il fondamento giuridico. Il risultato è un Panopticon, un grande occhio che ci controlla da mattina a sera, sempre. I software sono prodotti e gestiti o da oscure aziende politicamente ammanicate o dalle grandi Corporations che già possiedono miliardi di dati. Rimanere tranquilli rispetto a tali prospettive a me sembra da persone incoscienti, da cittadini infantilizzati”.
Secondo Lei, come può realizzarsi – in un momento di emergenza – un compromesso “senza (troppi) rischi” tra democrazia, sicurezza, tutela del diritto alla vita, privacy, libertà di espressione e diritto alla “corretta” informazione?
“Rimanendo fedeli alla Costituzione della Repubblica, ai suoi principi generali, alle garanzie che essa ha voluto istituire, a partire dall’habeas corpus, vale a dire l’inviolabilità della sfera privata, dei diritti al movimento, alle relazioni, allo spazio e al tempo. Diritti che possono essere sospesi soltanto in presenza di reati gravi e specifici. La legge italiana prevede uno «stato di guerra» e non uno «stato d’emergenza». Aver sospeso con tanta facilità i contenuti e lo spirito della Costituzione è ai miei occhi il pericolo più grave. Si tratta di un precedente che potrà essere utilizzato da chiunque per sospendere la sostanza della democrazia, pur mantenendone un’apparenza del tutto formale. Il virus passerà, sarà più difficile che passi l’ondata di autoritarismo che stiamo vivendo. Confido tuttavia che la ormai pluridecennale e profonda presenza della Costituzione repubblicana nella vita collettiva possa ancora fare da argine al vero pericolo, che è il dispotismo”.