Rapporto Svimez 2021: “Innovazione e transizione ecologica, ripartire dal capitale umano”. “Difficoltà in termini di immatricolazioni, reclutamento e capacità di intercettare fondi”
PALERMO – Intervenendo alla cerimonia per i cinquant’anni della facoltà di Ingegneria dell’ateneo catanese, Nello Musumeci, Presidente della Regione siciliana, ha sottolineato la necessità di “Creare un polo per la ricerca e l’innovazione con le quattro università dell’Isola, utilizzando al meglio le risorse comunitarie”, richiamando l’attenzione sulle sfide che ci attendono: dall’energia rinnovabile, alla sismicità, dalla desertificazione al cambiamento climatico.
E, in effetti, che è indispensabile incentivare Accordi di Programma tra le università del Mezzogiorno e le Regioni per un rafforzamento progressivo dell’attività di ricerca e innovazione lo si legge anche sul Rapporto Svimez 2021 nel capitolo intitolato: “Le Università per lo sviluppo dei territori”.
Secondo i dati del Mur (Ministero Università e Ricerca), in Sicilia si contano 726 ricercatori, ovvero il 5,6% del totale nazionale (12.945). Un ricercatore su quattro è al Sud.
Tutti numeri, questi, che suggeriscono quanto sia fondamentale per quel che riguarda la ricerca e posizione competitiva del Paese, definire “un programma nazionale che selezioni almeno 3 università grandi o medio-grandi del Mezzogiorno con le quali stipulare un Accordo di Programma per un progressivo potenziamento dell’attività di ricerca, finalizzato a raggiungere nel giro di 10 anni un livello quali-quantitativo medio almeno comparabile con quello delle migliori 7-8 università del centro-nord”.
Secondo Svimez, il rafforzamento progressivo dell’attività di ricerca e innovazione passa attraverso la soluzione di criticità legate all’accesso alla formazione terziaria, per giovani e adulti: “il nostro Paese – si legge nel Rapporto – è tra gli ultimi in Europa per quota di popolazione in possesso di un titolo di istruzione terziaria (27,6% contro 41,6% di media) e per tasso di accesso all’istruzione terziaria (42% contro 63% della media europea)”. A ciò si aggiunge un altro problema rappresentato dall’abbandono scolastico: in Italia per 10 iscritti al primo anno, poco meno di 6 completano il corso triennale nell’arco di un decennio.
Solo ripartendo dal capitale umano, dunque, sarà possibile inaugurare non solo una stagione nuova della formazione universitaria ma anche e soprattuto realizzare innovazione e transizione ecologica.
Sotto il profilo del reclutamento, Svimez rimarca che nel 2020 l’attuale sistema ha premiato maggiormente gli atenei del “centro” a discapito di quelli della “periferia”, va riequilibrata questa tendenza. Infatti, ad oggi, per ogni professore ordinario andato in pensione, il Politecnico di Milano ha potuto assumere fino a 2,45 ordinari, Torino 1,4, Bologna 1,39, Milano Statale 1,15, Napoli Federico Secondo 0,97, mentre Genova 0,71, Pisa 0,64, Bari 0,81, Messina 0,68, Catania 0,59 e Palermo 0,71.
“Grazie alle risorse del Pnrr – sottolinea Svimez – si può agire per ridurre le disuguaglianze geografiche e sociali prodotte dall’attuale assetto istituzionale dell’università italiana. A dieci anni dall’entrata in vigore della riforma Gelmini, si ritiene siano maturi i tempi per avviare un confronto costruttivo teso ad eliminare le distorsioni che l’attuale sistema presenta contribuendo al così al rilancio del Paese.