Cinema, uno strepitoso Favino interpreta Craxi in Hammamet - QdS

Cinema, uno strepitoso Favino interpreta Craxi in Hammamet

Francesco Torre

Cinema, uno strepitoso Favino interpreta Craxi in Hammamet

venerdì 17 Gennaio 2020

Gianni Amelio scrive e dirige un’opera sentita e complessa, con un linguaggio denso e stratificato che supera la dimensione dei fatti storici in sé per entrare in territori universali della ricerca esistenziale, dalla teologia alla psicologia

HAMMAMET
Regia di Gianni Amelio. Con Pierfrancesco Favino (Bettino Craxi), Livia Rossi (La figlia), Luca Filippi (Fausto)
Italia 2020, 126’.
Distribuzione: 01 Distribution

Condannato due volte con sentenza definitiva per i noti eventi di Tangentopoli, e rifugiatosi in Tunisia in una latitanza lussuosa quanto asfissiante, Bettino Craxi affronta gli ultimi tempi della sua esistenza combattendo contro vari e importanti problemi di salute, cercando di tracciare – nel tentativo di un’autoassoluzione – un bilancio della propria vita pubblica e privata, trovandosi infine in balia dei propri ingombranti fantasmi.

Amelio scrive e dirige un’opera sentita e complessa, con un linguaggio denso e stratificato, spesso simbolico, che supera la dimensione dei fatti storici in sé per entrare in territori universali della ricerca esistenziale, dalla teologia alla psicologia. Ciò avviene soprattutto nelle riprese in esterni, con un pedinamento continuo del protagonista e una rappresentazione d’ambiente di rara intensità espressiva. Più d’impianto teatrale e posticce, invece, le sequenze in interni, nelle quali maggiormente si percepisce il peso di una scrittura fin troppo controllata, che quasi nessuno spazio lascia alla spontaneità.

Verboso, il film richiama vari momenti di storia patria nel ritratto di una generazione politica mediato dal punto di vista del protagonista, racconto leggendario ormai lontano nel tempo cui è possibile credere – se si vuole – solo con atto fideistico.

Del tutto straordinaria la dirompente fisicità di Pierfrancesco Favino, che ingombra l’inquadratura con un incedere incerto, sornione, che fa da contraltare a improvvisi momenti di collera e vivacità. Un’interpretazione che rende perfettamente la dimensione olimpica della latitanza craxiana e la solitudine di un Dio che si sente incompreso e abbandonato.

In questo senso, il film sembra proprio porsi l’ambizioso traguardo di scrutare all’interno di una mente divina (esplicito il richiamo teologico in apertura e chiusura del film, lo sguardo di Craxi incastonato all’interno di un prisma a base triangolare, richiamo alle massonerie e consorterie italiane ma anche, e soprattutto, alla Trinità), frugando anche nei meandri della sua coscienza, con un sorprendente e felliniano richiamo paterno sul finale, per giungere alle soglie di un tribunale eterno.

Voto: ☺☺☺☺☻

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