Valentina Colli, presidente Unione Donne Italiane di Trapani
TRAPANI – Va controcorrente ed è pronta alla polemica perché sa di stare dalla parte giusta, quella delle donne. E non soltanto perché è la presidente della sezione trapanese dell’Unione Donne Italiane. Valentina Colli si sente in trincea con la sua Udi e lancia l’allarme. La violenza di genere rischia di essere sempre più di moda nei salotti e nei convegni e poco, molto poco, emergenza da affrontare sul campo, anche a muso duro se serve e senza ipocrisia.
Mettiamo sulla bilancia l’ipocrisia da un lato e la consapevolezza dall’altro. Da che parte pende quando si parla di violenza sulle donne?
“Il fenomeno della violenza sulle donne è molto complesso ed ha molte sfaccettature. I numeri in aumento e l’enorme lavoro di sensibilizzazione, soprattutto a cura delle associazioni che si occupano del tema, hanno creato una grande cassa di risonanza. Purtroppo però, proprio la grande rilevanza del tema, ha innescato dei meccanismi poco virtuosi: così è diventato quasi di tendenza parlare ed occuparsi di violenza di genere. Della qualità degli interventi e delle misure poco importa”.
Andiamo al sodo, senza paracadute.
“È perentorio che un Comune organizzi “qualcosa” per il 25 novembre. Data che è molto importante – riconosciuta internazionalmente proprio per la portata del fenomeno – perché è fondamentale tornare a pensare a quanta strada ancora c’è da fare, per tessere una nuova narrazione sulla questione delle donne e della violenza. È una giornata simbolica e catalizzatrice, le tante organizzazioni che lavorano tutto l’anno sul tema, tentano di ottenere un riconoscimento del fenomeno ed una analisi del lavoro fatto e da fare. Invece? è diventata una rincorsa all’evento. Perché se i simboli sono importanti, non possiamo ridurre tutto a questi. Rendere evento il parlare di violenza, non fa giustizia alla drammaticità del maltrattamento. Sebbene è necessario utilizzare un linguaggio propositivo, lo è altrettanto trovare un equilibrio: senza appesantimenti evitabili, ma anche senza alleggerimenti inopportuni.
Proviamo ad approfondire.
“È retorico dire solo ‘Denunciate!’: il punto non è farci trovare preparate alla violenza quando avviene, il punto è evitare di cadere in una relazione violenta. È poi quasi imbarazzante vedere amministrazioni compunte e commosse, con facciate di edifici illuminate di rosso e scarpette rosse a iosa, ma che poi non hanno un’agenda compiuta sulle Pari Opportunità, rifiutano il linguaggio di genere, concepiscono e trattano le Commissioni Pari Opportunità come un club di donnicciole, che devono ringraziare di essere coinvolte e chiedere il permesso su cosa pensare e quando farlo. Al massimo, devono limitarsi a fare presenza l’8 marzo. Avvilente è vedere le pochissime risorse economiche messe a disposizione dal Governo e dalle Regioni, dilapidate in iniziative inutili quando non dannose, perché ormai esperti ci sentiamo un po’ tutti”. Ancor peggio, e questo è un tema che meriterebbe un capitolo a parte, quando si aprono sportelli antiviolenza che non rispettano i requisiti preposti dalle norme in materia e che, oltre a togliere risorse a quelle realtà accreditate, addirittura aggravano le problematiche delle vittime non sapendo trattarle”.
La sfida si vince a scuola? Con i bambini e le bambine che saranno gli uomini e le donne di domani?
“Assolutamente sì. La sfida deve iniziare dalle scuole, con l’idea che ci vorranno diverse generazioni per iniziare a vederne i risultati. È necessario decostruire tutti gli stereotipi di genere imposti da una società essenzialmente patriarcale e costruire, invece, una crescita emotiva e culturale dei giovani. Qualche anno fa, i deputati di SEL presentarono una proposta di legge per l’educazione sentimentale nelle scuole, che ha trovato ostruzionismo in Parlamento. Questa stessa proposta fu poi sostenuta da Valeria Fedeli, già Ministra all’Istruzione e prevista anche all’interno della Buona Scuola. Lo stato dell’arte è che ci sono scuole particolarmente sensibili che hanno progetti e percorsi interni, con associazioni qualificate. Altre che pensano che anche dipingere una panchina rossa per il 25 novembre sia una fastidiosa perdita di tempo e scrivere sindaca in un elaborato sia errore blu. D’altronde Italia e Grecia sono gli unici Paesi europei dove l’educazione sentimentale e quella di genere non sono materie curricolari. Ma non c’è un altro modo che non sia l’educazione e non c’è luogo più importante della scuola per lavorare sul futuro. Ma anche sul presente. L’investimento educativo che si fa a scuola sulle bambine e sui bambini retroagisce sui genitori e sul territorio”.
Gli strumenti di legge a disposizione vanno nella direzione giusta?
“Lo strumento normativo più recente è il cosiddetto Codice Rosso. Già nel nome, se da un lato ne esplicita la condivisibile ratio di evitare che eventuali ritardi nella fase delle indagini e in quelle precedenti possano pregiudicare la tempestività di interventi di tutela, dall’altra rivela l’approccio ancora una volta emergenziale del legislatore italiano sul tema, che tradisce l’esigenza di adottare, al contrario, misure in linea con il riconoscimento della natura strutturale e culturale della violenza di genere. Purtroppo, lo strumento scelto dal legislatore per riconoscere prioritaria la tutela alla vittime dei reati di violenza di genere – riguarda una moltitudine di casistica, dallo stalking al recente porn alla violenza di prossimità – è quello di trattare questi delitti alla stregua di quelli di grave allarme sociale, solitamente collegati alla criminalità organizzata e al terrorismo. Ancora una volta, si preferisce dare priorità al “Denunciate!”, piuttosto che alla prevenzione. Basilarmente, sarebbe necessario che si introducesse il reato di femminicidio nel codice penale, con tutte le sue implicazioni sociologiche e antropologiche”.