È un’istintiva, ma ha imparato ad aspettare. La costanza e il talento l’hanno decretata attrice, oggi fra le più apprezzate del nostro Paese. Dal palcoscenico dello Stabile di Torino alle pellicole italiane di maggior successo di questi anni, si è costruita una carriera intensa, punteggiata di una varietà di ruoli, che l’hanno vista interprete di commedie romantiche, film d’autore, drammi televisivi in costume. Torna in teatro con l’adattamento scenico di ‘Perfetti sconosciuti’ di Paolo Genovese che firma ancora la regia. Prodotto da Nuovo Teatro con Fondazione Teatro della Toscana e Lotus Production, lo spettacolo vanta un cast stellare, tra cui risplende l’astro luminoso di Valeria Solarino. In Sicilia per una full immersion: l’1 e il 2 aprile al Golden di Palermo, il 3 aprile all’Impero di Marsala, il 4 e il 5 aprile al Pirandello di Agrigento, il 6 aprile al Duemila di Ragusa.
Con il padre originario di Modica, assume un significato particolare per lei recitare in questi luoghi?
“Ogni volta che torno in Sicilia, tutto assume un significato particolare. È la terra dove ho trascorso i miei primi tre anni di vita, dove ci sono le mie origini. Un giorno, mi piacerebbe recitare nello splendido teatro ‘Garibaldi’ di Modica. Nel frattempo, mio padre ha già pronta la squadra con cui verrà a vedermi a Ragusa”.
Alzato il sipario, una commedia che continua a svelare con intatta precisione la fragilità di rapporti e relazioni. Qual è il punto di forza di questa rappresentazione?
“Siamo al terzo anno di repliche e abbiamo più richieste del primo. Il film, volutamente, aveva un tono più serio, drammatico, per cui le situazioni che emergevano maggiormente erano quelle tragiche di un gruppo di amici che, una volta scoperchiati i segreti, si ritrovano a non riconoscersi più. Invece a teatro, con il pubblico presente in sala, quelle stesse dinamiche assumono venature grottesche, comiche. La gente ride delle altrui disgrazie e si immedesima. Poi torna a casa e ci riflette”.
Amori clandestini, tradimenti, misteri, ambiguità: viene a galla di tutto e il contrario di tutto, ponendoci difronte a una verità inequivocabile: siamo incapaci di comunicare in modo sincero con i nostri simili. Lei ci riesce?
“Non sono per la demonizzazione dei segreti, nel senso che, se ci sono delle ‘omissioni’ che aiutano a mantenere vivo un rapporto, è bene che rimangano tali. Buttare un peso addosso a qualcun altro semplicemente per scaricarsi la coscienza, lo trovo un atto decisamente egoistico. Perché bisogna per forza dirsi tutto? Chi l’ha detto che la sincerità totale sia preferibile a una bugia che però ti protegge?”.
Tutti bravi a parlare dei problemi degli altri, così si possono allontanare i propri e persino illudersi che non esistano. Anche lei, talvolta, si racconta questa favola?
“Ho capito, nella maturità, che bisogna saper ascoltare senza mettere troppo il filtro a ciò che si pensa realmente. Questo mi dà anche modo di riflettere sui miei problemi, senza illudermi che non esistano. È come se la vita degli altri mi aiutasse a capire meglio la mia”.
Qual è la verità che la guida?
“La fedeltà ai principi. Principi di onestà, soprattutto con me stessa, principi etici, civili, in cui credo e per i quali mi espongo pubblicamente. Quello che mi guida è qualcosa che sento nel profondo”.
L’autenticità è più ideale che reale e noi siamo uno, nessuno e centomila. Abili nel metterci una maschera a seconda delle circostanze.
“Le maschere sono fondamentali nella società, perché rapportarsi con gli altri in modo totalmente ingenuo può farci del male. Certo, si possono anche verificare delle condizioni in cui diventare più vulnerabili, ma bisogna scegliere cautamente con chi esserlo, a chi affidare la nostra fragilità”.
Qual è il sentimento che frequenta con maggiore intensità?
“Lo stupore, gioire per qualcosa di inaspettato, non dare mai nulla per scontato, sono delle risorse che mi porterò dietro per sempre. E poi la capacità di apertura, che vuol dire accogliere senza giudicare”.
Restando in tema di giudizio, in questo caso del pubblico, gli attori si dividono fondamentalmente in quelli che ci credono, o meglio ancora ‘si credono’, e quelli che hanno la misura delle cose. Nel suo lavoro, è difficile rimanere lucidi?
“È molto difficile. Prima il riscontro ce l’avevi quando andavi in giro per strada, adesso quando apri Instagram. Immagino che, se un attore, un’attrice, soprattutto giovani, si ritrovano invasi dall’apprezzamento dei fan, possano arrivare a pensare che il successo sia un obiettivo. Io, invece, ho sempre considerato il riconoscimento, la popolarità, come una conseguenza del mio lavoro. L’entusiasmante imprevedibilità del viaggio, dunque, non un arrivo”.
Agli esordi della carriera si è definita ‘rancorosa, vendicativa, insicura anche dell’aspetto’. Risponderebbe ancora allo stesso modo?
“Forse insicura. Rancorosa e vendicativa non credo di esserlo mai stata davvero. Rancore e vendetta non hanno senso: il primo è qualcosa che porti dietro come una zavorra e la seconda ha a che fare con ciò che è già avvenuto, contro cui non puoi fare niente. Come per il tempo che passa, le rughe”.
Una splendida donna di quarantasei anni che si piace molto di più oggi di quando ne aveva venti.
“Mi sento più leggera, che non vuol dire superficiale, mi prendo con meno seriosità. Ho imparato a ridere di me stessa, ad accettare che certe cose non le so fare. E va bene così”.

