Home » Veronica Pivetti torna sul palco tra mito e verità: “Occhi e orecchie aperti contro società bugiarda”

Veronica Pivetti torna sul palco tra mito e verità: “Occhi e orecchie aperti contro società bugiarda”

Veronica Pivetti torna sul palco tra mito e verità: “Occhi e orecchie aperti contro società bugiarda”
Veronica Pivetti

L’attrice e doppiatrice milanese porta in scena “La morte di Pizia” che verrà presentato venerdì 11 luglio a Troina

TROINA – Pittrice in erba, sognava di fare la ballerina, ma è nella sala di doppiaggio che si sente a casa. Dopo il corteggiamento professionale di Fabio Fazio per ‘Quelli che il calcio’, parte in ‘viaggio di nozze’ con Carlo Verdone e le si spalancano le porte del successo.

Nota per la sua versatilità tra commedia e impegno civile, Veronica Pivetti è una di quelle artiste a cui viene bene tutto (naturalmente). Porta in scena ‘La morte della Pizia’ dall’omonimo racconto di Friedrich Dürrenmatt. Prodotto da Pigra srl, lo spettacolo offre una straordinaria occasione per riflettere sulla figura del mito come strumento di potere e sulla verità come costruzione.

L’adattamento di Giovanna Gra, che cura anche la regia, verrà presentato in prima nazionale al Mythos Troina Festival venerdì 11 luglio 2025 alle 20.30 nell’Anfiteatro della Radura.

“La Sicilia l’ho conosciuta bene dopo i trent’anni. C’ero stata prima, ma molto velocemente e non era ancora scoppiato l’innamoramento, che invece è scattato qualche tempo dopo in occasione di un festival a Ortigia che mi ha visto giurata. Questa terra è uno di quei luoghi, oltre che di straordinaria bellezza, di una tale portata storica ed evocativa che forse non sempre si è pronti a recepirla. Richiede impegno, non si può pensare di sorvolarla superficialmente. Probabilmente, la prima volta che ci sono venuta, non ero pronta a questo incontro, perché bisogna proprio entrarci, voler capire. È necessario aprirsi e fare entrare dentro di sé la profonda identità di quest’isola”.

Si alza il sipario sulla irresistibile protagonista, portavoce di un punto di vista mai ascoltato. Qual è stata la genesi di questo nuovo progetto?
“Con Luigi Tabita, che conosco da molti anni, più volte c’eravamo ripromessi di fare qualcosa insieme, e finalmente se n’è presentata l’opportunità. Poi Giovanna Gra mi ha suggerito di mettere in scena ‘La morte della Pizia’. Alta, segaligna, è una figura nella quale mi ritrovo anche fisicamente. A dispetto della scrittura di Friedrich Dürrenmatt, notoriamente impegnativa, è un testo, sì acuto, colto, ma estremamente divertente. Parla del potere, della menzogna, di argomenti che sono archetipici, affrontandoli attraverso la chiave dell’umorismo, che rende questa rappresentazione decisamente accessibile”.

Sacerdotessa di Delfi, ha passato la vita a intrecciare storie, lalleggiando moniti e dispensando oracoli. Fuori dal personaggio, qual è la sua verità?
“Sono una persona estremamente pragmatica, concreta. Cerco di mantenere il più possibile la lucidità su me stessa e su ciò che mi circonda. In una società talmente piena di bugie, di illusioni, di quei canti di sirene che generano solo menzogne, diventa importante avere occhi e orecchie spalancati, per percepire gli altri punti di vista, di chi ci sta vicino. La verità è alla base di tutto, l’unico modo per stare veramente calati in questo mondo”.

Il mito è eterno. Nella sua esperienza umana e professionale, esiste qualcosa da poter etichettare con ‘per sempre’?
“L’amore per questo mestiere, cioè quello di comunicare. Vuol dire recitare in teatro, al cinema, fare una fiction, la radio, scrivere… La possibilità di comunicare è qualcosa che è da sempre e che sarà la mia vita per sempre”.

Un aspetto irrinunciabile che talvolta può dare adito a fraintendimenti.
“Se è accaduto di essere stata fraintesa in qualche occasione, me ne assumo la responsabilità. Un eccesso di comunicazione, delle volte, può essere rischioso, nel senso che bisognerebbe saper stare un po’ più sulle proprie. Perché non sempre quello che tu dai viene recepito da orecchie che hanno voglia di sentirlo o che non vogliono travisare”.

Apparentemente estroversa e mattacchiona, nasconde un’indole riservata e solitaria che trova rifugio nella sala di doppiaggio.
“Era un luogo sicuro, che conoscevo fin da bambina. Ho iniziato a sei anni a fare la doppiatrice, mi sentivo a casa. Perché mai avrei dovuto uscire allo scoperto? Ma bisogna buttarsi nel mondo, e capita che la vita ti dia un bel calcio nel sedere… Così, quando è passato un treno importantissimo, come quello di ‘Viaggi di nozze’ con Carlo Verdone, ci sono salita al volo. È stata la mia grande occasione”.

Quella moglie vittima di un marito assurdo, vessata e dall’aria bastonata, l’ha sdoganata come attrice comica. Si mascherava in una figura avvilita, sfigata.
“Ho amato molto quel ruolo perché, dover fare la timorata di Dio, è stato un approccio non prepotente con una riservatezza che peraltro avevo di fatto. Amo chiacchierare, però sono sempre un po’ in sottrazione. Per cui, quel personaggio, sicuramente era perfetto, perché accompagnava la mia vera discrezione facendomi entrare in un mondo che tante volte discreto non è”.

Quella era di certo un’autentica prova di bravura, però oggi Veronica Pivetti è un’altra persona.
“Aver compiuto sessant’anni e sentirmi subito totalmente libera è stato tutt’uno. È un traguardo strano, raggiungerlo mi ha reso felice. Sono curiosa di vedere cosa succede adesso, ma ho molta fiducia”.

Un successo dietro l’altro, tra cinema, tivù, radio e teatro. Tuttavia nei suoi libri ha raccontato anche della depressione, dell’inadeguatezza. Ha superato quella fase, si sente finalmente all’altezza?
“Il senso di inadeguatezza è atavico: è nato con me e me lo porto appresso. Certo, rispetto a parecchi anni fa, riesco a darmi una regolata. Mi dico: ‘È sbagliata questa visione di te stessa, perché altera il tuo rapporto col mondo esterno’. Ormai sono piuttosto veloce a rimettere in carreggiata un sentimento, una sensazione, ma quel ‘rumore di fondo’ non passa mai”.

C’è un consiglio che ha deciso di seguire?
“Purtroppo non l’ho fatto a tempo debito. L’allora direttore de L’Espresso Claudio Rinaldi, un carissimo amico che purtroppo non c’è più, fu un maestro di vita che continuava a ripetere di staccarmi da quell’adorazione che avevo nei confronti della mia famiglia, per emanciparmi come donna. Se avessi seguito il suo consiglio, magari avrei fatto più cose. Probabilmente avrei preso più cazzottoni, ma forse sarei stata anche più felice, chissà”.