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Vino, Chiavennasca: la grande uva che nasce nella roccia della Valtellina

Vino, Chiavennasca: la grande uva che nasce nella roccia della Valtellina

Chiusa con successo a Sondrio prima edizione di “ViVa, Vini Valtellina”

Milano, 25 set. (askanews) – La Valtellina, distesa alpina che percorre la provincia di Sondrio per quasi 100 chilometri, è la più grande area vitata terrazzata d’Italia. Con i suoi 820 ettari coltivati a Nebbiolo, qui chiamato Chiavennasca, rappresenta una delle più autentiche forme di viticoltura eroica, con la vite che si arrampica tra muretti a secco, pendii impervi e altitudini comprese fra i 270 e i 700 metri, in un paesaggio modellato nei secoli dalla forza della natura e dalla fatica dell’uomo. I vigneti corrono solo lungo la sponda retica dell’Adda, sulla parte Nord della valle con gli acini esposti al sole del Sud. In questa ripida valle lombarda non c’è che la raccolta a mano, con il trasporto di materiali e uva a spalla o, quando va bene, su monorotaia. E’ la viticoltura di montagna che, anche grazie alla sua difficoltà, custodisce un patrimonio culturale e agricolo che dal 2018 è riconosciuto dall’Unesco e dal 2020 ha visto i terrazzamenti entrare nel Registro nazionale dei paesaggi rurali storici.

Per celebrare la sua vocazione enoica come esperienza culturale e territoriale, a Sondrio si è da poco conclusa la prima edizione di ‘ViVa, Vini Valtellina’, una interessante tre giorni molto ben organizzata dal Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina con la Strada del Vino e Fondazione Provinea. Un’ottima occasione per gli appassionati, per la stampa specializzata e per gli operatori di approfondire la conoscenza dei vini valtellinesi, a partire naturalmente dalla Chiavennasca che oggi occupa il 90% delle superfici vitate della valle. La manifestazione, che ha messo insieme ben 38 Cantine che hanno presentato in anteprima la loro ultima annata, ha confermato la qualità di questi vini e l’impegno sempre crescente a fare meglio da parte dei produttori, ma soprattutto ha messo in luce nuove idee e progetti in particolare da parte della nuova generazione di vignaioli, che sorprendono per capacità e preparazione. Come in altre parti d’Italia con una tradizione di rossi importanti, anche qui le novità più interessanti riguardano il progressivo ‘alleggerimento strutturale’ del Valtellina Superiore e dello Sforzato, e interpretazioni moderne del Rosso, alla ricerca di una sua strada autonoma che possa anche fare da catalizzatore di un pubblico nuovo. Dunque non solo i soliti nomi, da Ar.Pe.Pe (che bontà il ‘Sassella Stella Retica 22′ e il Grumello Riserva Sant’Antonio 2018’), a Cà Bianche (‘La Tena 2022’) fino alla Cooperativa Triasso e Sassella (‘Sassella Sassi Solivi 2022’), ma, tanto per citare qualcuno, anche Ascesa (‘Rosso 2023’, ‘Sassella Riserva Scialèsc 2021’, ‘Riserva Murunèe 2020’, Caven Camuna (‘Inferno Riserva Al Carmine 2019’), Dirupi (‘Grumello Vigna Gèss 2022’), Dislivelli di Gian Piero Ioli che ha portato il suo Rosso Igt in anfora, Agrilù (‘Maroggia 2022’), Az. Agricola Andreoli (‘Proverbio 2022’), Ascesa (‘Rosso di Valtellina Doc 2023’ e il ‘Valtellina Superiore Riserva Murunèe 2020’), Luca Faccinelli (‘Valtellina Superiore Docg Grumello Riserva 2021’) e Alessio Magi (‘Valtellina Superiore Valgella 2021’).

A ‘ViVa, Vini Valtellina’ hanno partecipato circa 1.500 persone, l’80% dei quali provenienti da fuori provincia e da Svizzera, Germania, Francia e Svezia, dimostrando così tutto il suo potenziale che può fare di Sondrio (località che ha vigne e Cantine nel suo centro) una vera e propria città del vino anche sulla scorta della sua crescente vocazione turistica. Per fare questo bisognerà inevitabilmente concentrare gli sforzi, scremare gli appuntamenti enogastronomici che si susseguono in Valle, fare squadra con gli altri Consorzi che rappresentano le prelibatezze del luogo e coinvolgere le Amministrazioni a tutti i livelli. La disponibilità e la voglia di partecipare delle Cantine invece c’è già tutta ed è fondamentale per fare il salto di qualità.

Il cuore della produzione è rappresentato dalla Docg Valtellina Superiore, articolata in cinque sottozone storiche. Maroggia con circa 25 ettari di vigneto su terrazze ripide tra i 270 e i 550 metri nel Comune di Berbenno; Sassella con poco più di 100 ettari tra Castione Andevenno e la periferia di Sondrio, a quote comprese fra i 270 e i 600 metri; Grumello, con al centro il suo Castello, che copre circa 80 ettari tra i 350 e i 600 metri. Inferno, con più o meno 55 ettari con pendenze impervie, esposizione solare intensa e suoli rocciosi tra i 300 e i 500 metri; Valgella con pressapoco 140 ettari tra i 350 e i 650 metri appena superato il comune di Chiuro. A prescindere dalle sottozone, si tratta di un vino austero, elegante, profondo, fine, complesso ma sempre lineare e intelleggibile nella sua tipicità.

‘Molto spesso quando si parla di queste sottozone si tende a dargli un valore qualitativo. In realtà non è così semplice’ afferma Marco Fay, produttore capace (Sandro Fay) e vicedirettore del Consorzio, ricordando che ‘dentro ciascuna sottozona ci sono fasce climatiche diverse e, soprattutto, i terrazzamenti non sono mai uguali: ognuno ha la sua profondità, la sua inclinazione, la sua esposizione. È un concetto molto frammentato – prosegue – e per questo il modo più onesto di raccontare il nostro territorio è la singola vigna: solo lì si crea una costante. Se una vigna racchiude cento terrazzamenti sempre quelli, allora si può parlare di un’espressione coerente, ma basta aggiungerne o toglierne uno perché il risultato cambi’. Così come, naturalmente, incide l’altitudine che fino a 450 metri dà ai vini un profilo più semplice e immediato, fra 450 e 600 metri si trovano le condizioni più favorevoli per maturazioni complete, e oltre i 600 metri tornano freschezze e acidità, aprendo strade come vendemmie tardive o appassimenti, in risposta a estati sempre più calde. Per spiegare la presenza di limo nel terreno, oltre che di rocce madri di natura scistosa, con scaglie di roccia e affioramenti di granito, Fay ricorda che ‘ci troviamo sulla linea insubrica, una linea geologica molto importante che parte dal Piemonte e arriva ai Carpazi: è il punto dove la placca africana si scontra con quella europea’.

Accanto a questa Denominazione, il Rosso di Valtellina Doc rappresenta l’altra faccia della Valtellina, una versione gerarchicamente più semplice e con un Disciplinare molto più elastico, che si sostanzia in un vino più immediato, giovane, agile, leggero e versatile, potenzialmente assai in linea con le richieste del mercato. Istituito nel 1968, pensato per il consumo quotidiano è comunque sempre capace di esprimere tutto il carattere del territorio attraverso tannini gentili e una leggiadra armonia.

Seppur in progressivo calo (siamo sulle 300mila bottiglie l’anno), l’espressione più estrema e potente di questo inconfondibile Nebbiolo alpino è l’aristocratico Sforzato Docg. Lo ‘Sfursat’ è un simbolo di questa valle lombarda ed è stato il primo rosso secco italiano ad aver ottenuto la Docg, nel 2003. Vino di interpretazione e di metodo, ricco, intenso e complesso, nasce da uve selezionate di Chiavennasca (non oltre gli 8.000 chili di uva per ettaro), che, dopo la vendemmia, vengono poste ad appassire nei fruttai, a cui segue un affinamento minimo di venti mesi, di cui almeno dodici in legno. ‘E’ l’unico Nebbiolo al mondo prodotto con il metodo dell’appassimento, grazie alle condizioni naturali della valle, in particolare la Breva, che soffia quotidianamente dal lago di Como: una brezza che parte umida e che mano a mano che sale si secca e quando arriva qui è temperata e asciutta. A questa si aggiunge il vento del mattino che porta il freddo delle cime’ racconta l’altro vicepresidente del Consorzio, Danilo Drocco (Nino Negri), precisando che ‘grazie a queste condizioni possiamo fare un appassimento naturale che può durare fino a tre mesi e che avviene spesso a temperature sotto lo zero nei mesi di novembre e dicembre, mantenendo nell’uva una sensazione di frutta unica che fa la differenza rispetto a tutti gli altri vini rossi ottenuti con l’appassimento’.

Infine, c’è l’Alpi Retiche Igt (che dal 2020 ha sostituito il Terrazze Retiche di Sondrio Igt), Denominazione in cui confluiscono tutte le categorie di vino possibili non prodotti con Nebbiolo in purezza, o realizzati con tecniche produttive differenti, e/o da vigneti posti oltre i 750 metri di altitudine. ‘Su quest’ultimo elemento – anticipa Fay – l’assemblea ha già approvato una modifica al Disciplinare per portare la Denominazione Rosso di Valtellina Docg fino a 900 metri’.

‘Uno dei miti da sfatare è il Nebbiolo da clima freddo: qui il clima è caldo, direi quasi mediterraneo’ precisa Fay, spiegando che ‘se il clima fosse davvero freddo, avremmo più varietà bianche: invece i nostri suoli acidi e scistosi, ricchi di sabbia e poveri di argilla, lavorano benissimo con il nostro Nebbiolo, la Chiavennasca, che ha un ciclo lungo e nella parte centrale dell’estate resta verde, quindi sopporta il caldo senza perdere acidità’. ‘Quando arrivano i primi freddi, la maturazione accelera e si concentra e spesso si assiste ad un cambio di marcia improvviso’ prosegue Fay, sottolineando che ‘questo non è un territorio freddo che ‘tira indietro’ l’uva, è un territorio caldo d’alta quota che porta a maturazioni complete. Non a caso l’antico termine dialettale ‘Ciu Vinasca’, da cui deriva Chiavennasca, significa ‘il vitigno più adatto e che produce più vino’: la prova che questa varietà che coltiviamo da un millennio ha trovato qui la sua culla naturale’.

Le pendenze e i muretti definiscono un ambiente estremo, favorito però da condizioni che aiutano la sanità delle uve. I suoli sono acidi o subacidi, di natura scistosa, con molta sabbia e poca argilla, un impianto pedologico che privilegia finezza ed eleganza più che potenza, bevibilità e longevità, sostenute da acidità naturalmente presenti e da una solida mineralità. Per questo non ha senso mettere a confronto questo Nebbiolo con altri, più quotati e famosi. In Valtellina c’è la Chiavennasca e va bene così.

‘Il Nebbiolo è un vitigno tardivo e quindi, quando fa caldo, si autoprotegge. Durante la maturazione mantiene un livello di acidità e di pH che significa freschezza: sono due caratteristiche chimiche che oggi vedono in difficoltà moltissime altre varietà’ specifica Drocco, uno che di Nebbioli se ne intende come pochi, evidenziando che ‘la Chiavennasca, ha sviluppato un biotipo che si è allenato a stare in montagna’: ha saputo affrontare siccità, piogge abbondanti, vento, grandinate, reagendo con una buccia un po’ più spessa e con acini più elastici, in grado di non spaccarsi quando si passa da un estremo all’altro’. (Alessandro Pestalozza)