Milano, 27 set. (askanews) – Il Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina riunisce oggi 65 produttori (sui circa cento attivi nella provincia di Sondrio) che rappresentano oltre il 90% della produzione complessiva e cioè circa 3,2 milioni di bottiglie ogni anno, per un valore complessivo di circa 34 milioni di euro. ‘Il 55% del vino rimane in Italia e il 70% del rimanente va a finire in Svizzera, a partire dai confinanti Grigioni, sotto i quali la Valtellina è stata aggregata per secoli’ spiega ad askanews uno storico e importante produttore come Mamete Prevostini, rieletto presidente dell’ente consortile nel maggio 2024 (dopo aver già fatto tre mandati tra il 2009 e il 2017).
Insomma, nonostante il valore e la fama dei vini qui c’è ancora da fare. ‘In Valle si consuma tra il 60 e il 70% del vino che vendiamo in Italia: i turisti bevono i nostri vini e solitamente li acquistano in Cantina per portarli a casa e questo va bene. Ma anche nei ristoranti lombardi oramai è raro non trovare un vino di questa zona – continua il presidente – qualche azienda è negli stellati e qualche altra nelle trattorie ma il vino si trova, così come non è difficile poter scegliere una bottiglia di Valtellina anche nei grandi ristoranti delle capitali europee, americane e adesso anche asiatiche. È un discorso di posizionamento e dobbiamo proseguire lungo questa strada’ racconta il presidente, spiegando che ‘noi siamo condannati alla qualità, e più saliamo con la qualità e più si assottiglia il rapporto qualità-prezzo rispetto ad altre zone più rinomate’.
‘Il lavoro che è stato fatto in questi ultimi trent’anni da tutte le aziende, grandi e piccole, è stato incredibile. Non è stato piantato un ettaro in più, è stato solo un lavoro di manutenzione. Ci teniamo, ci crediamo. Abbiamo passato gli ultimi 25 anni a impostare i nostri vini sul Nebbiolo-Chiavennasca, togliendo altri vitigni rossi locali, Brugnola (poco più che uva da tavola), Pignola e Rossola che erano ammessi dal Disciplinare per un massimo del 10% e nel frattempo, attraverso l’ottimo lavoro di selezioni massali della Fondazione Fojanini, ci sono dei cloni con grappoli e acini più piccoli e spargoli che iniziano a dare dei vini diversi rispetto a quelli che si facevano un tempo’ prosegue Prevostini, sottolineando che anche grazie a tutte questo impegno e a questa visione ‘sta cambiando, anche se lentamente, la percezione: trent’anni fa quando uno di Sondrio andava a trovare un parente o un amico a Roma, gli portava la bottiglia di Braulio o la Vecchia Romagna o la stecca di sigarette che comprava a Livigno, oggi è facile che gli porti la bottiglia di vino. Si sta creando una mentalità di territorio del vino ma ci vuol tempo e serietà. Quello che vorremmo fare con l’amministrazione comunale è fare di Sondrio una città del vino: del resto qui le vigne arrivano in città e in città ci sono le Cantine’.
E proprio per spingere questo cambiamento culturale e il rapporto sempre più stretto tra il territorio e i suoi vini, il Consorzio ha organizzato con la Strada del Vino e Fondazione Provinea la prima edizione di ‘ViVa, Vini Valtellina’, manifestazione che dovrebbe diventare un appuntamento annuale per degustare in anteprima le nuove annate e ragionare e confrontarsi sui vini valtellinesi. ‘Quella di quest’anno voleva essere una prova generale: noi con quello che abbiamo non possiamo permetterci errori, vogliamo procedere sicuri. E la risposta c’è stata: vedere come è andata e assaggiare questi vini mi porta ad essere molto fiducioso’ dice compiaciuto il presidente, ricordando con una punta di emozione che ‘oggi la mia è una delle aziende più vecchie di questo territorio: a questa manifestazione hanno partecipato i miei colleghi che hanno più o meno 10-12 anni meno di me, e in alcuni casi ci sono i loro figli e questo è molto positivo. Aziende molto dinamiche, come Dirupi o Luca Faccinelli, non sono già più una novità perché sono arrivati altri nuovi produttori, spesso gente che ha fatto esperienze in tutto il mondo: tutto questo mi rende molto soddisfatto’.
‘Siamo il Rosso della Lombardia, l’unica regione che ha qualcosa come 12 Denominazioni, cioè tutte le tipologie di vini possibili. Ora vorremmo fare un progetto insieme con gli altri Consorzi per arrivare a dare un’immagine unica e completa del vino prodotto in Lombardia, una Regione che produce tanto ma che non viene abbastanza presa in considerazione’ prosegue il presidente del Consorzio fondato nel 1976 e rinnovato nel 1997, sottolineando ‘si pensi alla piazza di Milano, chi ci viene da fuori difficilmente cerca un vino lombardo ma se riuscissimo a promuovere l’idea del ‘vino locale’, avremmo fatto bingo’.
La Cantina Mamete Prevostini di Mese è probabilmente quella che in valle produce più vino bianco. Pensi che ci siano margini di crescita in questo senso per la Valtellina? ‘Noi abbiamo piantato nel conoide di Postalesio dove una volta c’erano le mele. Abbiamo provato per scherzo e ci siamo accorti che poteva essere interessante e abbiamo optato per un blend di quattro vigneti. In Valtellina il vino è Nebbiolo Chiavennasca e la viticoltura sono i terrazzi. Detto questo – continua – sviluppare la produzione di vini bianchi nei conoidi, sia su questo che sull’altro versante, potrebbe essere interessante sia dal punto di vista del completamento della gamma che da quello della sostenibilità economica, dando ossigeno alle Cantine che investono sui terrazzi. Potrebbe darsi che nei conoidi nelle zone più alte e un po’ più fresche fra vent’anni il vitigno a bacca bianca potrà sostituire le mele, senza con questo pensare di diventare l’Alto Adige. Sicuramente la Valtellina è un territorio vocato per la viticoltura, il che non vuol dire arrivare a parlare di Nebbiolo Metodo Classico: pensiamo a consolidare quello che abbiamo’.
‘Abbiamo tutti la consapevolezza che quello che stiamo facendo adesso, nelle Langhe lo hanno fatto 40 anni fa: siamo in ritardo ma il nostro treno passa adesso’ afferma il produttore valchiavennasco, rimarcando che ‘noi siamo fragili come territorio, come numeri e perché sono tutte piccole aziende che si devono sostenere, però abbiamo questa grande opportunità: la gente che beve rosso e che andrà avanti a bere rosso, ama i nostri vini’. Non vi preoccupa il progressivo calo di vendite dei vini rossi che si registra un po’ ovunque negli ultimi anni? ‘Sinceramente no, credo sia una fase ciclica e il Nebbiolo si è sempre bevuto, ha una sua storicità radicata. Si dice che il territorio migliore sia quello più a Nord dove l’uva riesce a maturare, e più a Nord di così non si può. Chi beve rosso continuerà a bere questi vini. Inoltre, sembra assurdo dirlo, ma a noi il cambiamento climatico ci ha ‘giovato’, certo abbiamo anticipato alcune operazioni ma ad agosto scorso qui faceva freddo. Insomma almeno per il momento non c’é allarme’.
Con l’assemblea del Consorzio di maggio avete avviato l’iter per il nuovo Disciplinare. ‘Sì, adesso c’è il passaggio in Regione, poi quello al ministero e poi a Bruxelles: se tutto va bene ci vorranno tre anni’ racconta, evidenziando che ‘è stato fatto un grande lavoro in questo 2024-25 per renderlo più pulito: c’era l’aria intermedia del Valtellina Superiore che era poco capita, quindi si tirerà una linea un po’ più semplice e poi si creeranno i nuovi areali che identificheranno territorialmente la bottiglia e daranno specificità quasi ad ogni singolo vino. Saranno tre – precisa -, guardando la valle da Ovest a Est c’è quella di Berbenno e poi Villa (Villa di Tirano) e Tirano. E nel Disciplinare non saranno riportati limiti in altitudine’.
Insomma in Valtellina si continua a lavorare sodo come sempre ma forse con uno spirito rinnovato e una consapevolezza in più del proprio patrimonio. A parte la celebre Cantina Nino Negri, fondata nel 1897 a Chiuro e passata al Gruppo Italiano Vini nel 1986, al momento le grandi realtà del vino non paiono particolarmente interessate a questo territorio, anche se qualche noto produttore in valle negli ultimi tempi si sarebbe visto. ‘Qui per fare il vino ci devi stare, non puoi mandarci un enologo o un direttore e seguire a distanza come si fa da altre parti’ ragiona il presidente, perché è vero che ‘siamo intorno ai 100-120mila euro l’ettaro ma qui dipende tutto dalla difficoltà di lavorarlo, se hai una pendenza estrema è un conto, se hai un pianoro già con la strada che puoi entrare con il trattore è un altro. Così come i muri, se sono spanciati è una cosa, se sono nuovi un’altra. Mi pare che adesso si punti ad investire nei punti buoni ma quelli in cui si riesce a lavorare. Certo ci sono sempre i pazzi che salgono a piedi 300 metri però capita anche che dopo due anni si pentano’. Questa è la Valtellina, un storico territorio enoico in cui grandi vini nascono da passione e fatica. (Alessandro Pestalozza)

